Mio papà è super: tre papà si raccontano

da | 12 Mar, 2024 | Lifestyle, Persone

Carlo, Davide e Matteo ci hanno raccontato delle loro vite, dei loro progetti, del loro essere papà oggi

Nel mese della festa del papà abbiamo incontrato e raccontato le emozionanti storie di tre uomini che nel loro percorso personale hanno vissuto o vivono delle difficoltà importanti. C’è Carlo che, con umorismo e ironia, ha affrontato una separazione e ha cresciuto, da solo, due figlie femmine, oggi quasi adulte. La sua storia è diventata un libro. C’è Davide, malato di SLA, sempre attento a sostenere la ricerca e aiutare chi vive la sua stessa condizione, che ha imparato a godere di ogni istante con la sua bambina. C’è Matteo che, per aiutare il figlio Alessandro, autistico, e tanti altri ragazzi, ha fondato un’Associazione, ha aperto una scuola e ogni giorno è impegnato a garantire un futuro a chi vive con l’autismo. 

Carlo: improvvisarsi padre single, distruggendo ogni brandello di genitorialità sensata

“La carezza della Mantide” è il libro che Carlo Turati, umorista e attore televisivo milanese, dedica alla sua esperienza di papà. Pagine tanto divertenti quanto emozionanti, fin dalle prime righe.  Era il 13 settembre 2010 e a Marco Morlacchi, il protagonista del libro dietro al quale si nasconde l’esperienza dell’autore,  vengono comunicate due notizie che gli cambieranno la vita. In seguito alla separazione dalla compagna gli vengono affidate entrambe le figlie e gli viene diagnosticato un grave enfisema. Tra dubbi e domande, paure e prime volte, si chiede come improvvisarsi padre single di due figlie che forse non avrebbe mai visto crescere. Il volume nasconde una storia vera, d’amore e di sentimenti, di padri single, di genitorialità e di adolescenza. 

Com’è il rapporto con le tue figlie che oggi hanno 24 e 28 anni?

Forse più intenso che in passato. Non è più uno scambio di diritti e doveri, ma di esperienze. Su alcune cose ne so di più io, o almeno loro lo credono; su altre sono loro le mie antenne sul mondo. Con il passare del tempo, con entrambe è sempre più incontro e meno scontro. Sono davvero orgoglioso quando bussano alla mia porta con un’idea, una sfida, una difficoltà; quando mi raccontano qualcosa che hanno fatto o visto e che, spesso, mi ritrovo a fare anch’io, da solo o in loro compagnia.  

Come sei riuscito a costruirlo nel tempo? 

A dire il vero penso di aver fatto di tutto per demolire ogni brandello di genitorialità sensata. Sono stato veramente un padre cialtrone, molto egoista e distratto. Ogni volta che un genitore mi raccontava il suo rapporto con i figli, mi sembrava di essere il peggiore dei papà. Eppure Maite e Cecilia sono ragazze mature, responsabili.

La maggiore difficoltà che hai incontrato?

Ne dico due. La prima: essere un maschio con due figlie femmine. Il vantaggio è che puoi spiegargli il punto di vista maschile. Lo svantaggio è che certe cose nessuno te le spiega. La seconda: a me alcune cose non sono successe. Tipo, non sono mai stato bocciato, loro due sì. È difficile capire qualcosa che non si conosce, affrontarla e discuterne con serenità. È di una frustrazione tremenda. Credo di averci sofferto più io di loro.

Cosa vi piace fare insieme?

Sono diverse. Maite mi cerca molto e io cerco molto lei. Abbiamo in comune la passione per il teatro e la comicità. Lei mi chiede e io le chiedo. Sono molto sensibile al suo giudizio. A volte lavoriamo insieme e io cerco di farle da mentore senza esagerare, a volte mi propone un giro sui pattini, a volte mi ruba la tenda o la roulotte… quando viaggia mi chiede consigli sugli itinerari, qualche volta spende i suoi ticket restaurant con me, mi telefona tornando dal lavoro. Insomma, è come un bel film che quando lo guardi, dici: come sono belli quei due. Con Cecilia, invece, questo succede meno: se dico che viviamo insieme e riusciamo a mangiare separatamente, penso di aver dato l’idea. Non mi chiede mai un consiglio. E forse per questo, quando mi racconta che è andata a vedere il tal spettacolo o il tal comico, mi emoziona. 

Avete dei rituali tutti vostri? 

Solo uno: il pranzo aperto di Santo Stefano. Che di nuovo la dice lunga su come sono diverse: Maite porta amici e amiche; Cecilia si lamenta che non c’è abbastanza da mangiare e si butta sui fornelli. Inizia il karaoke ed è bellissimo vederle cantare le canzoni che cantavamo in macchina, durante i nostri viaggi. 

Cos’hai imparato dalla tua esperienza di padre?

Tre cose: che è inutile cercare di capire perché le cose succedono, tanto succedono comunque; che nel dubbio fai qualcosa e spera di avere fortuna; che a volte, guardandole, può capitare di pensare che ci sono regali che non si possono comprare.

Davide: la felicità pura dell’essere padre, che la malattia non è riuscita a scalfire

Davide Rafanelli vive a Vedano al Lambro, vicino a Monza, è papà di una bimba di 6 anni e da quasi 3 anni è malato di SLA. “Dal giorno della diagnosi, un giorno difficile da affrontare, la mia vita è stata stravolta, la SLA mette alla prova te e tutta la tua famiglia. Purtroppo oggi non ha una cura, è una sentenza”, afferma.

Una sentenza che però non ha frenato la sua forza d’animo, la sua energia e la sua voglia di vivere, anzi, l’ha spronato ad avviare un nuovo progetto. Nel maggio 2023, infatti, Davide ha fondato SLAFOOD, un’Associazione che coinvolge chef famosi in un ricco calendario di eventi in tutta Italia – per sostenere la raccolta fondi a favore dei Centri Clinici Nemo che cercano una cura per la SLA, una malattia neurodegenerativa che progressivamente determina una paralisi dei muscoli volontari.

Come è il rapporto con tua figlia oggi? 

Mia figlia Aurora ha 6 anni: abbiamo un rapporto meraviglioso, fatto di grande serenità e amore. Un rapporto che negli anni si è sempre più rafforzato fino a essere felicità pura. 

È cambiato con l’arrivo della malattia?

Non è cambiato assolutamente, anzi, è maturato e diventato più intenso. Dopo un momento di assestamento, la malattia non ha scalfito il nostro legame ma lo ha reso ancora più unico e speciale perché sapere di avere meno tempo a disposizione per vederla crescere, mi ha reso più attento a vivere i momenti che la vita ci regala insieme. Parliamo tanto e cerco ogni giorno di lasciarle esempi positivi per il suo futuro. 

Lei come vive la situazione? 

Aurora è serena. Da quando la SLA ha fatto capolino nelle nostre vite – era il dicembre 2021 – ha vissuto i diversi momenti della mia malattia che, essendo neurodegenerativa, ci ha dato il tempo di abituarci ai cambiamenti come se fossero parte della quotidianità. Si è creata una sua idea: sa che il suo papà non sta bene, cammina male, ha la tosse ed è sempre stanco. I bambini sanno rendere leggere, quasi romantiche, anche le cose più difficili e la sua leggerezza è per me la più efficace delle cure.

Cosa vi piace fare?

Passiamo molto tempo insieme anche perché non lavoro più. Spesso la porto a scuola, la vado a prendere e facciamo i compiti. Abitando vicino al Parco di Monza, ci piace stare in mezzo alla natura, andare a vedere gli scoiattoli accompagnati dal nostro cane Jack o visitare una fattoria nei dintorni. L’estate scorsa ha imparato ad andare in bicicletta senza le rotelle, mi sono emozionato nel vedere la sua felicità, i suoi sorrisi per esserci riuscita… Insieme, ridiamo tanto!

Il nostro è un rapporto di profonda complicità che si basa su abitudini piccole e grandi che rendono speciali i nostri momenti. Il sabato a pranzo, per esempio, andiamo sempre nel nostro locale preferito a mangiare la pizza, io e lei. Li vicino c’è un’edicola e spesso ci fermiamo ad acquistare un libro da leggere o dei colori. O ancora abbiamo il rito della spesa, che abbiamo sempre amato fare insieme: lei mi aiuta nel scegliere cosa comprare e nel decidere cosa preparare per cena. Le insegno tante ricette perché cucinare è un gesto d’amore. Questi sono momenti magici per me perché riesco a godermi mia figlia nella quotidianità. Per me il tempo è una risorsa limitata. I momenti con lei mi donano una felicità immensa. 

Cos’hai imparato dalla tua esperienza di padre? 

Sono diventato padre in età adulta, avevo 48 anni quando è nata Aurora, l’avevo tanto desiderata. Lei con gli anni mi ha insegnato cosa vuole dire amare incondizionatamente e cosa significa vivere dedicandosi a un’altra persona. Purtroppo la malattia sta cercando di rovinare questa meravigliosa esperienza, ma penso non ci sia riuscita. Le emozioni che giornalmente mia figlia mi regala valgono tanto e mi rendono ogni giorno un uomo migliore. 

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Matteo: sono l’amico di fiducia di mio figlio

Matteo Perego è un architetto di Monza. Suo figlio Alessandro, che ha 23 anni, è un ragazzo autistico: erano i primi anni del liceo, quando un professore chiamò il papà di Ale per un colloquio. “Suo figlio ha delle doti artistiche, io le coltiverei”. Matteo, incredulo, volle approfondire e portò alcuni quadri di volti stilizzati a un critico. Il parere fu identico. È da quell’episodio che matura l’idea dell’associazione Facciavista, pensata da Matteo e da sua moglie per aiutare ragazzi con difficoltà simili ad Alessandro a trovare la propria strada. Facciavista ha già due sedi in Brianza e organizza laboratori artistici per giovani autistici. “L’Associazione è uno spazio dove ciascuno è libero di esprimere le proprie passioni. I ragazzi hanno realizzato diverse opere, molte con tratti grafici interessanti, piccoli capolavori esposti in diverse mostre. Due anni fa, per esempio, sono state in mostra a Villa Reale a Monza, che per la prima volta ha ospitato un’esposizione di artisti autistici. Siamo stati ospiti anche alla Biennale d’arte, sempre a Monza, e ora guardiamo al futuro: abbiamo diversi traguardi e stiamo lavorando tutti insieme per raggiungerli. 

Come è il rapporto con tuo figlio oggi? 

L’apprendere le sue difficoltà, è stato un fulmine a ciel sereno. Quando arrivano queste notizie, puoi reagire in due modi: o ti annulli o ti metti al lavoro e fai l’impossibile per regalare, a tuo figlio e ai ragazzi come lui, una vita serena che permetta loro di crescere, di coltivare hobby e passioni. Io e mia moglie abbiamo scelto questa strada.

Cos’hai imparato dalla tua esperienza di padre?

Dedico molto tempo a lui e gli organizzo gli impegni della settimana. Alessandro ama stare nella sua camera quando rientra a casa, ma ha una vita ricca di attività. Pratica moltissimo sport, lavora in biblioteca, frequenta la scuola AutAcademy, voluta da me e dalla mia famiglia: è il primo progetto di formazione per ragazzi autistici rivolto a giovani dai 16 ai 29 anni che abbiano assolto l’obbligo scolastico e abbiano voglia di lavorare ma che necessitano di un periodo di transizione che permetta loro di sviluppare al meglio le competenze necessarie all’inserimento lavorativo. 

Alessandro ha una sorella più grande, com’è il loro rapporto?

Per Martina, Ale è suo fratello. Hanno un buon rapporto, lei l’ha sempre capito. Tra loro non vi sono mai state difficoltà di relazione. Quando impari a conoscere Alessandro, ma in generale tutti i ragazzi autistici, capisci il loro carattere e le loro passioni, ogni barriere cade. 

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