Educare gli adolescenti all’amore, al rispetto, alla comprensione delle loro emozioni, alle relazioni affettive sane. Aiutarli a capire quando si trovano in un rapporto sbagliato, a distinguere tra una relazione basata sull’amore e una basata sulla violenza.
Un argomento delicato ma importantissimo e coraggioso, che viene affrontato nelle scuole superiori nel progetto “Questo mostro amore”, sostenuto da Control, che si sviluppa in incontri tenuti dal regista teatrale e counselor Jacopo Boschini e dalla psicopedagogista Valerie Moretti e che è diventato anche un libro edito da FrancoAngeli.
Gli incontri nelle scuole sono stati sperimentati con successo a Como, Lecco, Napoli, Milano e Trento e hanno coinvolto più di 10mila studenti e mille insegnanti.
Quali sono i segnali da cogliere in una relazione sentimentale violenta del proprio figlio o figlia? Ne parliamo con Valerie Moretti.
Le parole giuste per definire la relazione
Uno dei problemi principali per affrontare il discorso delle relazioni sentimentali èla mancanza di un linguaggio comune “Noi parliamo della relazione attraverso le emozioni – dice Valerie Moretti -. Si inizia con la definizione di amore: spiegare che in una relazione d’amore le emozioni che devono prevalere sono condivisione, complicità, desiderio di stare insieme, libertà, allegria, divertimento. Questo non significa che non se ne provino altre, come la tristezza, ma devono prevalere queste che sono basate sul rispetto”.
Come si definisce il rispetto? “E’ il dare valore all’altro in quanto persona. I ragazzi potrebbero trovarsi (o aver conosciuto qualcuno che si trova) in una relazione che non si basa sul rispetto. Per capire se è il loro caso, diamo loro un elenco di emozioni: umiliazione, assenza di libertà, controllo, possesso, tristezza, rabbia. I ragazzi sono così in grado di fare una distinzione tra i due blocchi di emozioni. Spieghiamo loro che ci sono emozioni che ‘bloccano’ ed emozioni che ‘ci aprono’. Se ci si trova in una relazione dove si provano prevalentemente e in maniera continuata emozioni che bloccano, bisogna chiedersi come mai: è questa la definizione che diamo ai ragazzi di una relazione violenta”.
I ragazzi capiscono che l’abuso non è solo quello che esplode in gesti estremi. “L’abuso passa anche attraverso i piccoli ricatti o il controllo dell’altro, per esempio del cellulare o degli account – continua Valerie Moretti -. Facciamo un discorso sui ricatti emotivi, per esempio la frase: ‘Se mi ami fai questo per me e se non lo fai è perché non mi ami’. È un tema che affrontiamo spesso, perché tra le coppie di adolescenti si presenta in maniera molto forte”.
Da bambini impariamo a riconoscere le emozioni e ad associare a esse dei comportamenti. “C’è chi associa la rabbia alle urla, chi alle spiegazioni, chi al picchiare. Spieghiamo ai ragazzi che alcune emozioni ci portano automaticamente a chiuderci in noi stessi: quanto più sono intense, quanto meno si racconterà. È il motivo per cui le persone che subiscono violenza o vengono umiliate non parlano e hanno difficoltà a uscire dalla relazione. Succede che i ragazzi si chiedano perché un amico o compagno resti vittima di una relazione violenta e non ne esca. Per chi la vede da fuori è più semplice”.
La violenza non è solo maschile
Le relazioni coercitive tra adolescenti seguono lo stesso schema degli adulti? “Tra i giovani la violenza è diversa rispetto a quella degli adulti. Per esempio ci sono molte ragazze violente. Bisogna osservare la viuolenza con un cambio di prospettiva: diciamo ai ragazzi di non guardare se è un uomo a perpetuarla o se una donna è vittima, ma di guardare il gesto in sé”.
Culturalmente si tende a scusare una ragazza aggressiva e a non aiutare un ragazzo che subisce. “Se ci focalizziamo sul gesto possiamo riconoscere più situazioni violente eaiutare anche i maschi vittime di violenza in età adolescenziale, che oltre alla violenza in sè, sopportano anche il peso culturale di non poter ammettere di trovarsi in una relazione di questo tipo”.
L’importanza della famiglia
I ragazzi iniziano ad avere relazioni molto presto. “Sì. E certi adolescenti, che sono particolarmente fragili in un periodo della vita in cui la fragilità è tipica, investono moltissimo in queste relazioni. Comportamenti coercitivi scattano spesso per la gelosia, ovvero la paura di perdere l’amore esclusivo dell’altro. Nel momento in cui sento che una relazione non mi dà tutto quello che ritengo mi debba dare, attivo dei comportamenti per trattenere il partner”.
Ci vuole maturità emotiva per riconoscere la violenza. “Se sono emotivamente maturo la riconosco e non metto in atto comportamenti come il ricatto, il possesso e la limitazione della libertà del partner. Se però soffro di bassa autostima, mi sento insicuro, sono in un periodo della vita in cui mi sembra di non arrivare a nulla, comincio a provare gelosia. Se ragazze e ragazzi arrivano da un nucleo familiare forte, sostenuto, dove hanno avuto una buona educazione emotiva, riescono a compensare l’immaturità di questo periodo che è comunque sana e normale. Se invece provengono da un tessuto familiare più fragile possono avere bisogno di un supporto”.
Questo Mostro Amore, un libro anche per genitori
Il progetto “Questo Mostro Amore” parte dalle scuole, che sono il fulcro dei rapporti sociali dei ragazzi e un luogo dove portare avanti un discorso di educazione emotiva. Il manuale è rivolto ai docenti, ma può servire anche ai genitori.
“Il libro è nato perché alcuni professori ci hanno chiesto uno strumento da utilizzare. Jacopo e io ne abbiamo parlato con Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva e lui ci ha messo in contatto con l’editore che ha abbracciato il progetto. Il libro è pensato per i docenti, ma anche i genitori possono trovare molti spunti di riflessione”.
Cogliere i segnali di allarme
Partendo dal presupposto che il rapporto di fiducia è qualcosa che si costruisce negli anni e non si improvvisa, come può un genitore cogliere segnali di allarme se qualcosa non va?
“Una buona osservazione ci permette di capire se il nostro ragazzo o ragazza è in una relazione violenta. Per esempio, se nostro figlio o figlia resta sempre a casa se non c’è il o la partner. Nel caso delle ragazze, succede spesso che per un appuntamento con il fidanzato si vestano in un certo modo, si mettano i tacchi o si trucchino, ma non lo facciano uscendo con le amiche perché ‘lui non vuole'”.
Altri segnali a cui possiamo fare caso? Gesti di possesso da parte del partner, le continue domande del tipo “Dove sei, dove vai, con chi”, le telefonate insistenti, il controllo del cellulare, dei profili social… ma anche oggetti che spariscono o che vengono rotti. Un figlio o una figlia triste, che smette di parlare, che non ha più voglia di condividere i suoi pensieri, si nota al di là del fatto che sia adolescente”.
Un aiuto per aprirsi e parlare
Cosa si può dire a un adolescente per aiutarlo ad aprirsi? “Se fa fatica a parlare, basta dire: guarda che mi accorgo che c’è qualcosa che non va, se hai voglia di parlarne io ci sono’. Già questo indica all’adolescente che il genitore osserva e che il discorso non parte da zero. Una volta una studentessa ci ha detto: mamma e papà lo hanno sempre saputo. I genitori avevano provato a forzare la mano, le avevano detto di aver capito e che avrebbe potuto parlare con loro. E alla fine la ragazza lo ha fatto.
Cyberbullismo e violenza sui social
Dal momento in cui hanno accesso a Internet, i ragazzi possono entrare in contatto con un mondo di informazioni e situazioni. Qual è il ruolo dei genitori?
“Una sana supervisione non può fare male. Personalmente non darei un cellulare in mano prima della terza media o prima superiore. Detto questo, molti genitori danno come regola che, finché il ragazzo non ha dimostrato un po’ di competenza nell’utilizzo dello strumento, non possa mettere password e che il genitore abbia diritto di accedere al cellulare e alle app, come ai gruppi di Whatsapp e ai profili dei social. Questo dà peraltro l’idea al ragazzo che quella che sta usando è una macchina molto potente. Bisogna ricordargli che il rispetto passa dal gesto, dalle parole e anche dall’utilizzo dello smartphone”.
A proposito di potenza del mezzo, il cyberbullismo è un tema all’ordine del giorno. “Con i ragazzi concludiamo la conferenza facendo questo esempio: “Vi potrà capitare o vi sarà già capitato di ricevere immagini che ritraggono persone, quasi sempre donne o ragazze, nude o in atteggiamenti sessualmente espliciti, e voi sapete che quell’immagine non era rivolta a voi, ma era stata fatta per qualcun altro. Nel momento in cui la ricevete, pensate se quella persona sa che voi la possedete, e se la risposta è no chiedetevi cosa potrebbe provare nel momento in cui sapesse che ce l’avete. Potete fare una scelta di rispetto e cancellare quell’immagine, oppure scegliere di inviarla a vostra volta alla vostra rubrica perché trovate la cosa divertente: la differenza tra rispetto e violenza è anche quel click. Ed è una vostra scelta, perché la violenza è sempre una scelta: nessuno vi impone di farlo”.
Il fenomeno è all’ordine del giorno: i ragazzi ricevono regolarmente foto di fidanzate altrui, foto fatte per una persona che girano tra i compagni. “Perciò bisogna dire loro di fare attenzione: da un lato, tu che fai la foto, ricordati che nel momento in cui la mandi a qualcuno questo può farne ciò che vuole, per cui ti esponi a un rischio. Dall’altro, tu che sei destinatario di un’immagine che non era stata pensata per te, puoi decidere di agire a tua volta violenza, oppure no“.
Se tuo figlio è la vittima
Cosa può fare un genitore se la vittima è la propria figlia o figlio? “Se una sua immagine è stata diffusa bisogna rivolgersi immediatamente alla polizia postale. È un reato: è distribuzione di materiale pedopornografico”.
Se invece nostro figlio o figlia ammette di trovarsi in una relazione sbagliata, cosa possiamo fare noi genitori? “Per prima cosa gli facciamo i complimenti per essersene reso conto, perché non è facile riconoscersi in una relazione violenta. Poi anche gli diciamo che è stato bravo per aver chiesto aiuto, perché non è un’azione scontata. Poi lo incoraggiamo perché lasci quella persona. Aggiungiamo un messaggio culturale importante: nel momento in cui decidi di interrompere quella relazione, fallo in un luogo pubblico, non da solo e non accettare secondi appuntamenti chiarificatori. All’ex si spiegano le nostre ragioni nel momento in cui lo si lascia, dopodiché il rapporto va concluso: quanto più violenta è stata la relazione, tanto maggiore è la necessità che non ci siano ulteriori incontri. Anche tra ragazzi adolescenti, i casi estremi che sono entrati in cronaca nera sono spesso avvenuti a secondi appuntamenti chiarificatori”.
Se la vittima è un amico del figlio
Se invece la vittima non è mia figlia, ma una sua amica, come devo comportarmi? È il caso ad esempio di avvertire i genitori dell’adolescente coinvolta? “Lo si può fare, ma agendo con attenzione. Prima di tutto, mia figlia deve essere messa al corrente che sto per avvertire qualcun altro, perché se una confidenza non va esposta. La cosa migliore è far sì che la ragazza provi a parlarne con l’amica, così che ci sia un aggancio con un adulto. Altrimenti, posso provare a convincere mia figlia di parlare con il genitore della ragazza, o chiederle il permesso di contattarlo e parlargli direttamente per questioni di sicurezza. Ovviamente, di fronte a minacce o questioni di vita o di morte, io madre o padre chiamo il genitore dell’altro senza pensarci due volte: quanta maggiore è la violenza, tanto maggiore è l’azione che deve fare l’adulto”.
Se mio figlio è il bullo
E se scopro che è mio figlio il bullo o quello che agisce violenza?
È un’assunzione di responsabilità importante da parte dei genitori, che si devono rendere conto per quale motivo il figlio associa a determinate emozioni dei comportanti violenti nei confronti dell’altro. La soluzione migliore potrebbe essere fargli capire che i comportanti devono essere altri e che probabilmente, anche solo per un breve periodo, il ragazzo ha bisogno di essere accompagnato a riflettere sulle ragioni dei suoi gesti, perché ha delle fragilità e ha bisogno di capire perché ha bisogno di essere violento per affermare se stesso.