L’uccellino Dedè dalla piuma colorata racconta il viaggio alla ricerca della propria identità, il desiderio di diventare genitori e la nascita di una famiglia
Non tutti i bambini nascono nello stesso modo, oggi. In Italia nel 2021 i nati da fecondazione assistita sono stati 16.625, di cui 3.719 grazie alla donazione di gameti, e rappresentano il 4,2% delle nascite.
I numeri, proporzionali all’aumento dell’età media dei genitori, non sono però commisurati all’attenzione posta ai genitori, purtroppo ancora scarsa, sia nel percorso di ricerca della gravidanza sia dopo la nascita. Anche nelle storie a lieto fine, infatti, gli strumenti a disposizione dei genitori per raccontare ai bambini la propria origine, guidata da un profondo desiderio di genitorialità, non sono tantissimi. E i bambini, prima o poi, arrivano con una domanda “Quando avete deciso, come e perché, di farmi nascere?”.
Il viaggio di Dedè è un albo illustrato che, grazie a un’accurata ricerca di parole e illustrazioni, aiuta i genitori a raccontare ai figli la loro storia, fatta di desideri, emozioni e sentimenti che li hanno portati a scegliere di diventare genitori e di come siano riusciti a formare una nuova famiglia, la loro.
Scritto da Chiara Delia e Alessandra Razzano, psicoterapeute esperte in supporto alla genitorialità e infertilità, e illustrato da Nadia Abate, l’albo è corredato dalla guida alla lettura dedicata ai genitori, per rispondere ai loro dubbi.
Un problema di comunicazione
Dedè è un uccellino curioso e pone tante domande. Un giorno si accorge di avere una piuma colorata e chiede il perché. Ecco che Mamma e Papà colgono l’occasione per raccontargli la sua storia: di quanto Dedè sia stato desiderato e cercato, e il suo uovo, proveniente da un donatore generoso, è stato curato e covato. Una storia, che inizia dal desiderio di genitorialità e arriva alla consapevolezza e ricerca delle proprie origini, narrata con parole semplici e bellissimi disegni.
Eppure, al contrario di quella che sembra essere la chiarezza del messaggio, l’idea dell’albo illustrato nasce proprio da un problema di comunicazione.
“Le difficoltà di comunicare ai figli come sono stati generati e pensati si possono ripercuotere nel legame genitori-figli – spiega Chiara Delia – e derivano dal bisogno di affrontare la ferita della diagnosi di infertilità e allo stesso tempo della ricerca di un cambiamento di prospettiva”.
Parlare di questo argomento è un’esigenza importante: non parlarne significa contribuire alla costruzione di uno stigma.
Un rischio purtroppo tangibile in un paese che non riesce a stare al passo con i tempi, come l’Italia, in cui questo cambiamento nella pratica sta avvenendo – e lo dicono i dati che descrivono il problema dell’infertilità e di ricorso alla PMA in aumento. Ma il cambiamento culturale avviene con fatica”.
Si nasce nel cuore dei genitori
La storia di Dedè arriva nelle case per diffondere un messaggio complesso attraverso il linguaggio semplice dei bambini: si può nascere in tanti modi, ma prima di tutto si nasce nel cuore dei genitori.
“Dopo anni di esperienza con i genitori, abbiamo voluto costruire uno strumento utile a tutti, affinché tutti possano accostarsi e confrontarsi con diversi modi di dare la vita”.
Il libro è quindi pensato per i bambini o anche per i genitori?
“E’ pensato in ottica duplice – sostiene Alessandra Razzano -. Ci rivolgiamo ai bambini ma allo stesso tempo ai genitori che cercano le giuste parole per raccontare un pezzo di storia della loro famiglia.
In generale, credo sia importante fermarsi a parlare con i figli e dare un significato al proprio percorso di ricerca della gravidanza e del desiderio di genitorialità. Affrontare questa parte della nostra storia in maniera positiva ci porta per primi a non considerarlo come un tabù, ma come una ricerca e un’esperienza di cui essere orgogliosi.
Questo non vale solo per i genitori che fanno ricorso alla PMA, ovviamente, ma anche le famiglie omogenitoriali, adottive, single, o tutti coloro che vogliono raccontare ai propri figli come siano stati concepiti prima nel cuore, e poi biologicamente”.
Il mondo esterno e la paura del giudizio
In generale, raccontare la propria esperienza al mondo esterno fa paura: coetanei, scuola, parenti, conoscenti, possono portare giudizi taglienti e fuori luogo. Un timore che rischia di essere trasmesso ai figli.
“Dobbiamo partire dal presupposto che la storia della propria nascita è personale. Come tante altre storie che ci riguardano possiamo scegliere se raccontarla, e a chi – dice Alessandra Razzano -. Parlarne con i nostri figli invece è fondamentale, perché il tabù deve essere abbattuto prima di tutto nel nucleo famigliare, e questo è il primo passo per affrontare il mondo esterno. Ma non siamo costretti a raccontare a chi non vogliamo, e soprattutto non dobbiamo farlo con lo scopo di ottenere l’approvazione degli altri. Ne possiamo parlare se lo riteniamo utile. L’importante è non costruire una storia dietro una negazione, perché il tabù è legato alla vergogna”.
Nel racconto di Dedè, il confronto dell’uccellino con i genitori avviene dopo aver notato una piuma colorata, diversa dal suo piumaggio, e che i genitori non possiedono. Un simbolo, quello della diversità della piuma, che porta l’attenzione sul legame genetico con eventuali donatori di gameti o genitori biologici nel caso dell’adozione. Ed è quella diversità, a volte incomoda, che a volte può attirare l’ingerenza del mondo esterno.
“Quella piuma è parte di un processo di identificazione, di sovrapposizione e di individuazione dei ragazzi. La ricerca della somiglianza è importante, è legata all’appartenenza, e ognuno di noi la costruisce in modo diverso a seconda del legame con la propria famiglia”.
Il cambiamento verso una genitorialità consapevole
Sul tema della nascita e sul fatto che possiamo essere generativi “in modi differenti”, il cambiamento culturale in Italia è sicuramente lento, ma non possiamo dire che le cose non siano cambiate nell’ultimo decennio.
E non si tratta solo di approccio alla PMA, ma di una visione molto più ampia, per i giovani, del pensiero legato alla genitorialità.
“Nel nostro lavoro spesso incontriamo i giovani nelle scuole per parlare di fertilità e infertilità. Anche se per molti ragazzi la genitorialità rappresenta una questione ancora distante, c’è una grande consapevolezza legata al fatto che avere un figlio oggi è una scelta e non un mandato, che diventare genitori è un ruolo e non solo un legame genetico, e proprio per questo ci sono diversi modi di essere ‘generativi’.
Questo sta cambiando lentamente l’idea di famiglia, che non è più soltanto una questione di sangue ma soprattutto di relazione.
Il retaggio culturale, come quello sul tema della PMA, lascia trasparire quanto bisogno ci sia di conoscenza e informazione sul tema stesso della fertilità.
Ad esempio, si crede che la responsabilità della salute riproduttiva sia un argomento quasi esclusivamente femminile e invece non è così”.
E’ quindi importante parlare ai giovani di infertilità o crioconservazione dei gameti per preservare la propria fertilità: non per incrementare a tutti i costi la natalità, ma per creare consapevolezza.
“Non si tiene conto che l’infertilità dovrebbe essere trattata come una patologia e curata, se possibile. Purtroppo può essere spesso causa di depressione, molto di più rispetto ad altre patologie. Oggi alle pazienti oncologiche viene proposta la crioconservazione gratuita dei gameti, ma lo stesso non avviene nel caso di altre patologie altrettanto gravi che possono portare alla sterilità”.
Una “profonda” leggerezza
Il viaggio di Dedè è un albo arricchito dalla mano esperta di Nadia Abate, illustratrice, graphic designer e mamma, che ha scelto, insieme a Chiara e Alessandra, una famiglia di uccellini come protagonisti.
“Per me Dedè è un bambino-uccellino – confida Nadia -. Credo sia stata la scelta giusta: gli uccelli covano l’uovo insieme e nell’esperienza dell’attesa possono identificarsi padri, madri e tutti i tipi di famiglie, anche quelle adottive.
La scelta delle illustrazioni e dei dettagli è stata frutto di un lavoro complesso con Chiara e Alessandra, alla ricerca del linguaggio giusto per raccontare questa storia attraverso le immagini. Quello che volevamo trasmettere con i disegni era soprattutto un senso di leggerezza, senza però semplificare e perdere di vista il significato profondo dell’esperienza. Insomma, alleggerire l’infertilità, perché molte famiglie risentono tanto della pesantezza della loro storia, legata alla ricerca, estenuante e solitaria, di un figlio.
La mia tavola preferita? Quella in cui guardano tutti insieme le foto del percorso fatto per avere il figlio: è lì che viene fuori tutta la fatica vissuta per raggiungere il grande traguardo e diventare genitori.
Credo che chiunque di noi, in modi diversi, riesca a percepire quella sensazione e l’emozione nel portare a termine il proprio progetto di famiglia. Perché in questo modo, ancora prima del concepimento, gettiamo i semi della futura relazione con i nostri figli”.