Le amministrazioni locali, alle prese con tagli e bilanci spesso in negativo, si scagliano contro l’uso indiscriminato di parti cesarei da parte di molte strutture ospedaliere (pubbliche e private) che a seguito di questi interventi percepiscono alti rimborsi. La proposta è dunque quella di ridurre i rimborsi per quelle strutture che sembrano “abusare” di questa pratica sforando di molto le soglie indicate dai vari protocolli e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Cosa dice l’OMS
L’OMS fissa nel 15% la percentuale fisiologica di cesarei sul totale dei parti che avvengono. In realtà in Italia molto spesso si sfora da questa soglia, arrivando addirittura a percentuali che superano il 35%. In alcune regioni, come ad esempio la Campania, si sfiora addirittura il 59%, questo vuol dire che più della metà dei bambini viene alla luce in questo modo. Sicuramente più veloce, comodo per i medici, fondamentale nelle situazioni di emergenza ma pericoloso e “inutile” in molti altri casi, specialmente quando si tratta di parti cesarei programmati con anticipo rispetto alla scadenza naturale e fisiologica della gravidanza.
Bisogna infatti ricordarsi una cosa molto importante, il parto cesareo è un intervento chirurgico e come tale ha dei rischi non trascurabili, inoltre ha una ripresa decisamente più lunga e dolorosa rispetto ad un parto naturale. Non è un modo alternativo di partorire, ma una operazione da utilizzare in casi specifici e limitati. Nel resto d’Europa la media dei parti cesarei si assesta tra il 20 e il 25% del totale delle nascite, anche qui con grandi differenze da paese a paese.