La prende, la guarda, la appoggia accanto ai suoi giochi, la mette e la toglie. Nei mesi estivi, quando è arrivata la versione nuova, faceva caldo e per non sudare tendeva a ignorarla. Insomma, la protesi non convince Filippo così tanto. Ma ha solo due anni e avrà tempo per abituarsi. Addirittura, avrà tempo per decidere se lui, quell’aggeggio così tecnologicamente sviluppato, lo voglia poi davvero, visto che al momento ne fa volentieri a meno, senza rinunciare ad alcun divertimento o movimento.
Marco e Jessica, ambedue poco più che trentenni, sono i genitori del piccolo Filippo che è nato senza l’avambraccio sinistro. Il suo arto termina poco dopo il gomito. Ma questo non lo mette minimamente in difficoltà: “Quando ho visto per la prima volta che si arrampicava sulla scaletta dello scivolo, ai giardini, quasi non riuscivo a crederci. E invece sale spedito e sicuro, senza problemi. Oppure, se gli compriamo il gelato, lui riesce a mangiarlo usando il braccio sinistro, tenendo il cono vicino al gomito. Per lui è la normalità. E ce la fa alla grande”.
Però c’è un domani su cui ragionare. E quindi, dopo la prima protesi essenzialmente estetica, mamma e papà hanno pensato a una protesi mioelettrica, che permetta a Filippo di afferrare gli oggetti, manovrarli e muoverli. “Abbiamo scoperto il problema al quinto mese di gravidanza, in occasione dell’ecografia morfologica. Dall’esame di routine non si vedeva il braccio sinistro, nemmeno dopo qualche insistenza che ha protratto la durata dell’esame ben oltre la normale lunghezza. I medici ci hanno consigliato di rifare l’esame il lunedì successivo, perché la scarsa visibilità poteva essere legata a qualche crema cosmetica applicata sulla pancia in quei giorni. Abbiamo passato un weekend molto difficile, in cui abbiamo pensato il peggio. E il lunedì, alla presenza del primario, abbiamo avuto la conferma ai nostri timori. Abbiamo fatto poi anche l’amniocentesi, per escludere che ci potessero essere conseguenze ancora più grandi. In quei momenti pensi di tutto”.
Si può vivere senza?
La voce di papà Marco non tradisce emozione, mentre ricorda quel periodo così duro. Segno evidente della forza e della convinzione con cui la famiglia è andata avanti. “Non ci siamo autocompatiti, abbiamo anzi cominciato a guardarci intorno per capire cosa era possibile fare. I medici ci avevano sconsigliato protesi fino almeno ai sette anni, ma a noi è sembrato un periodo di tempo lunghissimo. E così, quasi per caso, abbiamo scoperto l’esistenza di un’associazione nazionale con sede a Milano che si chiama Raggiungere e che assiste le famiglie con bambini con malformazioni agli arti. Filippo aveva meno di un anno e ci hanno accompagnato in questo cammino: a undici mesi aveva la sua prima protesi estetica, mentre più di recente è arrivata quella mioelettrica”.
In pratica, una protesi che è collegata attraverso alcuni sensori alla pelle del bimbo, in grado di recepire le contrazioni del muscolo e di trasferire l’impulso alla parte meccanica, fino a riprodurre il movimento.
“Ora è estremamente essenziale nel suo funzionamento – racconta Marco – poco più che una pinza per prendere le cose. Ma col passare del tempo potrà diventare più complessa e migliorare nella simulazione dei movimenti”. E insieme alla complessità, cambierà anche di dimensioni. “Crescerà. insieme allo sviluppo del bambino. Inizialmente, sarà sostituita ogni sei o sette mesi, poi si arriverà a una protesi all’anno, circa. Al momento la protesi è di aiuto a Filippo, ma non tanto a livello di movimenti. Piuttosto, proprio come quella che aveva solo una funzione estetica, per l’equilibrio e per evitare una sorta di strabismo. Per il resto, diciamo che non ne avrebbe bisogno: lui non sente la mancanza dell’avambraccio e non nota la differenza. Fa tutto quello che vuole fare. Tuttavia deve imparare a usarla e abituarsi a farlo. Inutile negare che la protesi serva anche a ridurre, se non evitare, la curiosità altrui. Ci accorgiamo degli sguardi delle persone che ci incontrano. E spesso i bimbi fanno domande e hanno reazioni evidenti, come è normale per i piccoli”.
L’opportunità migliore
Se la protesi estetica è un po’ più semplice da mettere, quella mioelettrica, realizzata dall’Officina Ortopedica Maria Adelaide di Torino, necessita dell’aiuto di un adulto.
“E forse anche per questo Filippo fa un po’ di fatica a utilizzarla, per il momento. Ma è piccino e non è semplice spiegarli e fagli capire il motivo per cui potrebbe essergli utile imparare a usarla. Tanti bimbi che abbiamo conosciuto attraverso l’associazione usano le protesi soprattutto per motivi estetici, in particolare quando si tratta di bambine. Noi genitori, comunque, la riteniamo un’opportunità ulteriore che gli mettiamo a disposizione. Ma non vogliamo obbligarlo, sarà lui a decidere, al momento buono. Altrimenti il rischio è che per reazione la rifiuti”. Anche i nonni sostengono la scelta di Marco e Jessica: “I nonni seguono il bambino per molte ore e sono d’accordo che dovrà essere una scelta soltanto sua. La porterà finché lo riterrà opportuno. È, come detto, una potenzialità in più per lui. Poi si vedrà”.
In parte, la protesi serve per non attirare troppo l’attenzione altrui, che sarà inevitabile con la crescita e l’aumento dei contatti sociali di Filippo. “Per ora ai bimbi che fanno domande, spesso anche molto dirette, spieghiamo cosa è successo. Ma ci sono anche altri che non ci fanno caso. Una volta, ai giardini, un amichetto ha giocato con lui per quasi dieci minuti senza accorgersi di nulla. Poi è scappato ed è tornato con la mamma. Ma è assolutamente comprensibile, come reazione. Vedono qualcosa che non conoscono”.
L’anno prossimo, Filippo andrà all’asilo. “Lì vedremo cosa succederà. Se i bimbi gli faranno domande. O se magari sarà lui stesso a voler mostrare la sua protesi e come funziona. Insomma, l’idea del bimbo dal braccio bionico (sorride Marco) potrebbe essere un argomento che lui per primo vorrà affrontare con i compagni”.
Navigazione a vista
Alcuni medici non erano concordi sull’utilizzo di una protesi in un bimbo così piccolo. “Ci sono ancora pochi studi e dunque pochi termini di paragone. I consigli sono stati i più vari e diversi tra loro: da chi ci ha detto di lasciarlo fare a chi, al contrario, ci ha consigliato di legargli il braccio destro in modo che lui sia stimolato a imparare a usare il sinistro con la protesi. Dicono che con le persone colpite da ictus funzioni, ma per come la vediamo noi ci è sembrata una soluzione da evitare, il modo migliore per arrivare al rifiuto della protesi”.
E non manca mai l’ostacolo, quello che nessun attrezzo tecnologico permette di superare: la burocrazia. “Sembra incredibile, ma abbiamo fatto molta fatica a conoscere il mondo che ci si è aperto davanti. Ci ha aiutato l’associazione Raggiungere, perché senza di loro non avremmo mai conosciuto l’Officina Maria Adelaide, anche se si trova proprio nella nostra città, a Torino. E il servizio sanitario non è molto preparato in materia. Così, ogni volta che c’è da effettuare una sostituzione alla protesi, anche minima visto che in alcuni casi si possono mantenere le strutture principali o le batterie, per esempio, bisogna ripartire da zero con l’iter di autorizzazione e richiesta, ricominciando da capo con le prescrizioni mediche, la richiesta all’Asl e così via. Noi siamo riusciti a ottenere la protesi in circa un mese, ma sappiamo di famiglie che impiegano sei volte tanto. E in sei mesi il bambino cresce e la protesi diventa obsoleta! A Torino non siamo riusciti a trovare un fisiatra che facesse la prescrizione, tanto che abbiamo dovuto ricorrere a un ortopedico. Questo per dire quanto sia difficile anche solo trovare il medico di riferimento. I tempi poi cambiano da Asl ad Asl, da regione a regione. Insomma, è un vero labirinto e noi possiamo dirci fortunati, in altre zone d’Italia è ancora più difficile trovare strutture adeguate cui rivolgersi”.
Fortunatamente, a fronte delle difficoltà, il servizio sanitario copre i costi, che non sono banali: per una protesi come quella di Filippo servono quasi quattordicimila euro, tutte a carico dell’Asl, almeno secondo la legge vigente e fino ai diciotto anni. Dalla maggiore età in poi, sarà possibile avere solo una protesi all’anno. Ma questo, per il momento, a Filippo non interessa. Ha scivoli da scalare, gelati da mangiare e un mondo da mettere a soqquadro, proprio come tutti i bimbi della sua età. Poi la parola spetterà a lui, quando avrà voglia di pronunciarla. Per il momento la protesi sta lì: la mette, la toglie, la appoggia tra i giochi. E, se non ne ha proprio voglia, la ignora.
[Le foto di questo servizio sono di Otto Marco Campeotto]