Ma perché esiste l’odioso divieto di condividere a scuola la torta fatta in casa? Risponde l’avvocato
Anni ’90, scuola elementare. Vigeva l’anarchia alimentare. Nella mia classe c’era la tradizione di portare le caramelle da distribuire ai compagni per il compleanno (tradizione che ho sempre disonorato, perché compio gli anni durante le vacanze estive).
C’era il compagno che a merenda aveva la focaccia del panettiere e riusciva a mangiarne appena un brandello perché tutti gli altri gli si ammassavano intorno al grido: “Me ne dai un pezzo?”; quello col panino alla mortadella, costretto a mangiare di nascosto per non subire la stessa sorte. E la compagna con la fetta di torta paradiso fatta in casa, quello con la barretta di cioccolato, quello con la merendina (io avevo il Buondì al cioccolato).
E poi c’era la mensa. Non so voi, ma io ricordo la più completa desolazione gastronomica, fra fettine di arrosto di maiale anemico, insalatina pallida e prosciutto cotto.
Da quella desolante preistoria le cose sono molto cambiate. L’attenzione all’alimentazione dei bambini si è alzata e sono almeno due i punti focali del miglioramento: l’equilibrio della dieta e la prevenzione dei danni dovuti a intolleranze e allergie.
La legge è intervenuta a livello Europeo con il Regolamento 852/04. L’Italia ha dovuto (meglio tardi che mai) adattarsi con una serie di provvedimenti che vanno dal controllo dei menu delle mense scolastiche, con studi di equilibrio nutrizionale, all’esposizione degli ingredienti allergenici, alla predisposizione di documentazione personalizzata sulla situazione alimentare di ogni alunno con adattamento della dieta secondo le specifiche esigenze di salute. Nonostante la bontà, alcuni provvedimenti hanno sollevato l’antipatia di molti genitori.
Il più contestato è il divieto di portare a scuola e dividere con i compagni prodotti artigianali preparati in casa. Cerchiamo di capire le motivazioni nascoste dietro questo apparente sopruso.
Un problema di igiene (e di responsabilità)
La cucina di casa, per quanto sicuramente pulitissima, non è sottoposta alla normativa HACCP sull’igiene dei luoghi e degli alimenti.
A nessun genitore quindi, potrebbe essere addossata la responsabilità giuridica (civile e penale) del mancato controllo dell’igiene con standard pari a quelli dei ristoranti o delle industrie alimentari.
Pensate se ogni volta che portate a scuola una bella torta glassata appena sfornata doveste provare sulla vostra testa la spada di Damocle di un risarcimento milionario per la diffusione involontaria di un patogeno. Magari nel vostro frigo c’era un pezzo di verdura ammuffita di cui nemmeno vi eravate accorti o una fetta di pollo che ha lasciato colare del liquido, contaminando altri alimenti.
Per non parlare del rischio di una denuncia penale. Passa la voglia, no? E se state pensando che nella vostra cucina, giammai!, questo non potrebbe succedere, pensate che la libertà di portare cibi fatti in casa sarebbe di tutti e non potete essere sicuri di quali creature si nascondono nel frigo degli altri.
Ci sono anche gli allergeni (e la responsabilità)
Per quanto sani e genuini, gli ingredienti usati in casa potrebbero non essere adatti alle eventuali patologie dei compagni (allergie, intolleranze, celiachia). La faccenda è più complicata di quanto potrebbe sembrare.
Sì, perché il cuoco casalingo, anche se è in grado di comunicare a tutti gli ingredienti che usa, non è in grado di escludere contaminazioni involontarie avvenute all’interno della cucina.
Se, per esempio, si tiene la farina di riso nella stessa dispensa della farina di grano, oppure si utilizza una teglia usata normalmente per cuocere una torta senza glutine, il risultato “senza glutine” sarà contaminato.
Per non parlare, poi, dell’incredibile rischio che ci si assumerebbe nei confronti di quei bambini che ancora non sanno di essere allergici a determinati alimenti.
Sicuro o genuino
Questo provvedimento ha scatenato diverse critiche. Il divieto favorirebbe la proliferazione di prodotti confezionati e industriali a discapito di prodotti genuini e sani fatti in casa.
Diminuirebbe, poi, la libertà dei genitori di nutrire i figli secondo i propri modelli alimentari, trovandosi costretti a scegliere prodotti presenti sul mercato per la merenda.
Quest’ultima critica è assolutamente infondata: la legge prevede il divieto di portare a scuola cibi fatti in casa con lo scopo di dividerli con gli altri bambini (NO alla torta di compleanno). Ogni bambino rimane libero di portare a scuola i biscotti della mamma per la sua personale merenda.
Certo, poi si troverà costretto a evitare di spezzare il pane con i compagni e le maestre, ovviamente, dovrebbero vigilare su questa circostanza, motivo per cui, alla fine della fiera, molte scuole preferiscono vietare del tutto l’introduzione di cibi fatti in casa. E fine del cinema.
In realtà, anche la critica fondata sulla maggiore genuinità dei prodotti fatti in casa rispetto a quelli confezionati è infondata, quantomeno se non si limita il proprio universo alimentare a dolci, biscotti e merendine. Una bella mela, una manciata di fragole o qualche bastoncino di carota sono legittime merende, a tutti gli effetti.
Francesca Salviato, avvocato