Quando si dice no ai figli, meglio un no secco senza spiegazioni e giustificazioni, oppure meglio discutere, parlare e spiegare?
Le spiegazioni, i commenti, le chiacchere a quattr’occhi piacciono agli adulti ma molto meno ai bambini, che ascoltano sì e no un terzo di tutto il bel discorso che l’adulto sta facendo.
Spiegare a un bambino perché non si può mangiare un gelato prima di cena o perché a tavola si sta seduti, non lo aiuta ad accettare la regola o a rispettarla di più. Anzi, se può, aggira l’ostacolo inventandosi una personale alternativa.
Un “no” secco è un po’ come un divieto di accesso alle vie del centro: è chiaro, lampante, senza sfumature. Ci dice che ci dobbiamo fermare perché proseguendo si va verso un pericolo. E come l’adulto teme la multa, così il bambino teme la sgridata dei genitori.
Anche se è faticoso, non bisogna temere il “no” secco: dicendo no si aiutano i figli ad avere le idee più chiare e a orientarsi meglio nella vita. La necessità di spiegare i divieti nasce dal bisogno di sentirsi meno duri e dalla convinzione che i bambini comprendendo le motivazioni si impegneranno di più per rispettare il divieto.
Questo è sicuramente vero, ma si tratta di una capacità di ragionamento logico e predittivo che cresce con l’età del bambino. Avviciniamoci al loro mondo: una bella gratificazione, una parola di lode, un piccolo premio quando rispettano una regola è un buon modo per far sì che se ne ricordino.