Tommaso ha una malattia metabolica rara. Una storia di solidarietà collettiva e di una famiglia che non ha mai smesso di guardare al futuro
Tommaso ha 3 anni, riccioli biondi, occhioni azzurri e una malattia rara metabolica che rende la sua vita diversa da quella degli altri bambini. Osserva ciò che lo circonda e sorride. I primi anni di vita sono stati una salita di quelle che lasciano senza fiato, tanto che intravedere un futuro al di là della malattia sembrava impossibile. Ma insieme ai suoi instancabili genitori, Katia e Fabio, e al suo vivacissimo fratellino Federico, Tommy non ha mai smesso di sorridere.
Malattia rara: solo cinque casi nel mondo
La malattia del piccolo Tommaso è talmente sconosciuta da non avere un nome. Viene chiamata semplicemente con la sua causa: “difetto trasportatore vitamina B1”, che identifica l’incapacità delle cellule di assorbire la vitamina B1 contenuta nei principali alimenti che assumiamo. Questa vitamina è fondamentale per lo sviluppo cerebrale e del sistema muscolare. Una malattia metabolica che ha origini genetiche: entrambi i genitori, infatti, hanno da poco scoperto di esserne portatori.
Un inizio apparentemente normale
“Le mie gravidanze sono state entrambe problematiche – racconta Katia -. Federico, il mio primo figlio, è nato a 7 mesi. Con Tommaso i problemi sono aumentati. Perdite, ricovero, parto prematuro di circa un mese e cesareo con grande perdita di sangue e successiva trasfusione. Come accade per tutti i bimbi prematuri, è stata eseguita un’ecografia cerebrale oltre alle visite di routine. Tutto sembrava confermare che il bimbo era sano e non aveva alcun problema”.
Con il passare del tempo, però, la mamma nota alcuni segnali sospetti. A due mesi Tommy perde l’appetito e dopo i sei sembra non essere più in grado di tenere dritta la testolina. Tommaso non cresce come gli altri bambini e per questo viene eseguita una risonanza magnetica al cervello, che segnala la presenza di alcune piccole lesioni nella materia cerebrale. Secondo i medici sono collegate al parto prematuro e alla sofferenza fetale: non spiegano quindi i problemi di crescita del bambino.
Due anni nel buio
Tommaso compie un anno, la mamma deve tornare al lavoro ed è ora dell’inserimento all’asilo nido, per cui è necessario il richiamo dei vaccini. Purtroppo Tommy, che è troppo spesso malato, viene messo KO dalle iniezioni. Quando finalmente sta meglio, inizia l’asilo; tuttavia la neuropsichiatra propone di inserirlo nel gruppo dei più piccini, perché il suo sviluppo motorio non è pari a quello dei coetanei.
“La dottoressa non riusciva a trovare una spiegazione medica dei mancati progressi di nostro figlio – spiega Katia -. Ci è stato prescritto un percorso di fisioterapia che però non riuscivamo a seguire. Tommy piangeva tantissimo: era come se quei movimenti imposti gli creassero un grande dolore. Nel frattempo all’asilo si ammalava continuamente. Non sapevamo più che fare”.
Un giorno, all’improvviso, accade il dramma. “Il giorno peggiore della nostra vita – racconta Katia – Tommaso dormiva nel letto con il papà quando Fabio ha sentito che il suo respiro stava diventando affannoso. Non rispondeva, sembrava avesse delle convulsioni. Siamo corsi immediatamente in ospedale e lì, finalmente, dopo averlo sedato, hanno deciso di approfondire e indagare tra le possibilità infinite delle malattie genetiche e metaboliche. Ci sono voluti otto mesi per avere una diagnosi, dopo una serie di esami, tra cui una biopsia muscolare e il decisivo esame dell’esoma. Finalmente, dopo quasi due anni dalla nascita, nel luglio 2018 abbiamo avuto il nome della malattia che stava rovinando la vita di nostro figlio”.
Malattia rara, e sconosciuta
In Italia ci sono pochi medici specialisti in malattie metaboliche, ma fortunatamente uno di questi è parte dell’equipe dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, dove la famiglia vive. Tommaso inizia subito la terapia, che consiste nell’assunzione di una quantità di vitamina B1 cento volte maggiore rispetto al fabbisogno quotidiano di una persona che la assorbe normalmente.
“Sembrava avessimo finalmente in pugno la soluzione – continuano Katia e Fabio – eppure abbiamo assistito nuovamente a una regressione e a un aumento di crisi epilettiche. In Europa ci sono altri tre casi simili a quello di Tommy, tutti in Germania. Nel nostro caso, però, sembra che la malattia sia comparsa più precocemente. Non avendo scoperto la carenza di vitamina B1 in tempo, la mancanza di riserva nel suo corpo ha provocato una forte acidosi da lattato che ha aggredito il cervello e causato danni cerebrali irreversibili e la conseguente epilessia da lesioni”.
Routine e difficoltà quotidiane
Rumore e luci infastidiscono Tommaso, che preferisce le passeggiate nella natura. A oggi non può camminare, non parla e non riesce a mangiare da solo. E ovviamente, a causa della debolezza del sistema immunitario, non può andare a scuola. “La nostra organizzazione familiare è piuttosto complicata – spiega Fabio -. Dal momento che i nostri figli non possono fare le stesse cose, cerchiamo spesso di dividerci per garantire a Federico una vita più normale possibile. Organizzare una vacanza di una settimana lontano da Torino, quest’anno, è stata un’impresa ardua, a causa delle terapie e delle visite in ospedale. Ma alla fine ci siamo riusciti e siamo andati qualche giorno al mare”.
Le difficoltà del rientro
Tommaso ha una piccola carrozzina e la famiglia vive in un edificio senza ascensore. “Per fortuna siamo solo al primo piano, ma spesso sono da sola – racconta Katia -. Devo prima portare Tommaso in braccio, lasciarlo solo per qualche minuto e correre a prendere la carrozzina che non è leggerissima. Spero di trovare una soluzione a breve. Per ora quello che mi preoccupa è il ritorno al lavoro a gennaio”.
Katia ha potuto usufruire del congedo parentale straordinario che dura due anni, ma presto dovrà rientrare perché il permesso non è prolungabile. “Stiamo cercando una persona che segua nostro figlio, ma non siamo ancora riusciti a trovarne una in grado di affrontare la complessità della sua malattia. Sono un po’ preoccupata, ma non perdiamo la speranza”.
Quando i colleghi donano ore di “lavoro”
Fabio avrebbe bisogno di ore extra per essere presente il più possibile in famiglia. “L’azienda in cui lavoro è stata disponibile e flessibile – racconta -. Non avendo turni con orari fissi, cerco di iniziare a lavorare la mattina prestissimo in modo da tornare a casa entro le 5 di pomeriggio. Lavoro a 40 chilometri da casa e purtroppo i tempi di spostamento sono lunghi”.
In una situazione ideale, i colleghi di Fabio avrebbero voluto donare ore di lavoro per concedergli più ferie e congedi utili ad accompagnare Tommaso in ospedale. “Purtroppo questa soluzione non era possibile per questioni burocratiche, così il responsabile delle risorse umane ha pensato di mettere in pratica la ‘monetizzazione delle ore di lavoro’. Lo scorso anno abbiamo aperto un crowdfunding per raccogliere una parte dei fondi necessari a portare Tommy all’estero per visite e cure specialistiche. Nel caso dei miei colleghi, tutti hanno donato da una a otto ore di lavoro extra rispetto al proprio orario, che sono state trasformate in una donazione monetaria che ha raggiunto un capitale di quasi 20.000 euro e che si è sommato alla raccolta di fondi già avviata. È stato davvero meraviglioso sentire il sostegno e il calore della comunità che ci circonda”.
Il viaggio negli USA: una speranza, un’incognita
“Useremo il denaro per organizzare un viaggio negli USA nel centro in cui lavora il dottor Hirano, neurologo di fama internazionale ed esperto in genetica. Sarebbe utile poterci fermare lì per almeno un paio di mesi, per effettuare tutti gli studi utili e avviare le eventuali terapie. Il denaro raccolto fino a ora è un primo grande aiuto, ma siamo consapevoli che non è sufficiente per coprire tutte le spese. Dovremo comunque chiedere un prestito. Questo non ci spaventa, perché siamo disposti a qualsiasi cosa. Per il momento siamo però siamo un po’ delusi dal sistema americano – racconta Fabio a malincuore -. Abbiamo contattato il medico a maggio e inviato tutto il materiale che ci ha richiesto, eppure siamo ancora in attesa e non sappiamo per quanto tempo”.
Un sguardo al futuro, ancorati al presente
Katia e Fabio non smettono di guardare al futuro e sono pronti a intraprendere ogni strada per migliorare la condizione del piccolo Tommy. “Per il momento viviamo alla giornata – dice Fabio – anche perché le difficoltà quotidiane sono tante. Guardiamo all’estero come opportunità, ma non sottovalutiamo l’aiuto e la professionalità dei medici in Italia. Ci piacerebbe vedere più collaborazione tra i medici, a Torino, Roma e altrove, ma non sempre è così. Ci siamo sentiti spesso soli e siamo stati noi a muoverci e andare a bussare alle porte degli specialisti. Questo richiede tanta energia e non sempre conduce ai risultati sperati. Tuttavia continuiamo per la nostra strada. Sappiamo che nostro figlio è un combattente: in questi tre anni la sua vita è stata difficilissima e abbiamo rischiato di non averlo più con noi. Ma lui c’è, sorride, e leggiamo nei suoi occhi la voglia di andare avanti: per questo motivo, per lui, non ci daremo mai per vinti!”.