Sono mamma di due bambine (7 e 15 anni), il mio compagno ha un maschietto di 8 anni che spesso viene a casa nostra e va molto d’accordo con le bimbe. I rapporti con la madre sono però molto tesi. Diverse volte ci siamo accorti che mancavano soldi, di solito pochi spiccioli, a volte banconote, ma avevamo sempre accusato la quindicenne. Finché a luglio il bambino ha rubato 300 euro che ho trovato nel suo portafoglio (ha lasciato il mio portafoglio sul tavolo di fianco al suo). Dapprima ha negato dicendo che erano soldi che gli aveva dato la mamma, poi ha detto che li aveva presi, non potendo spiegare il perché. Non abbiamo insistito nel punirlo, lui si è sentito talmente male che la sera ha vomitato. Altre volte di nuovo sono mancati pochi spiccioli, ma non sempre si può essere sicuri di quanto si ha nel portafogli. Poi di nuovo 50 euro dal cassetto e la bambina questa volta ha visto che li ha presi lui. La mia idea è che lui rubi, quasi sempre a me, qualche volta al papà (dalla mamma non lo sappiamo) perché come io gli ho rubato il papà (sono cose che dice sua madre) lui mi prende qualcosa. Io ho un buon rapporto con lui, anche se un po’ freddo perché non è molto espansivo (molto di più comunque quando non c’è il papà che con il papà presente). Posso aiutarlo in qualche modo? Può aiutarlo il suo papà? L’ultimo furtarello tra l’altro è avvenuto subito dopo un fine settimana in cui loro erano da soli, un weekend tra uomini. Che fosse il fastidio di “dovermelo restituire”?
La ringrazio per il consiglio
Cara mamma, per dare “il consiglio” avrei bisogno di conoscere meglio la vostra situazione; intanto possiamo chiederci cosa stia accadendo tra tutti voi per provare a dare un signficato al comportamento di questo bambino. La mia ipotesi è che “il maschietto di otto anni” si sia concesso di gettare un po’ di confusione tra gli adulti per farsi portavoce di un disagio che, dal suo racconto, sembra non coinvolgere soltanto lui: lei stessa dice di sentirsi come “quella che ruba” il papà, posizione alquanto pesante e ingombrante. C’è una mamma che prova molta rabbia e non sempre riesce a proteggere il bambino dal conflitto con il suo ex marito; e poi non dimentichiamo che “la sua bambina” di 15 anni sta vivendo una fase molto delicata e convivere con un uomo che non è suo padre può suscitare qualche fatica non sempre immediatamente esplicitabile. In queste realtà familiari è tale la complessità delle emozioni che coinvolgono i bambini, gli adolescenti e gli adulti da rendere alquanto difficile l’accoglimento e la comprensione dei bisogni che emergono nei figli. In questo intreccio di legami affettivi, grandi e piccoli devono affrontare una quantità enorme di “compiti emotivi”; il bambino di cui mi racconta è innanzitutto alle prese con l’elaborazione non solo della perdita della propria famiglia unita, ma anche di tutti i piccoli e grandi cambiamenti avvenuti nella sua vita da quando è comparsa la nuova compagna di papà. Inoltre, transitando da una casa all’altra, assorbe tutte le emozioni delle persone che si occupano di lui: le rabbie, le paure. Mi sembra che stia chiedendo aiuto per “ascoltarle e leggerle” insieme e per provare a dare un nome al “frullato” che sente in pancia. Ciò che mi colpisce di più è che il bambino abbia proposto l’argomento del “rubare”, che coincide con il suo vissuto. Forse è il caso di iniziare da qui: chiarire con il bambino la scelta attiva del papà rispetto alla separazione può aiutare a liberarvi di qualche fantasma rispetto al fatto che il papà sia stato portato via. È prezioso che il bambino senta la voce del papà rispetto alla storia della sua famiglia. Può essere utile farsi aiutare da un terapeuta, sia singolarmente, per il ruolo che vi compete, che come coppia. Quando si ha la sensazione che la montagna da scalare sia troppo difficile per avventurarsi da soli, una guida può aiutare ad arrivare alla meta senza cadere troppe volte e rischiare di scoraggiarsi lungo il cammino.