Con la pandemia il cyberbullismo ha amplificato la sua portata ed è diventato la minaccia più temuta dagli adolescenti
Con la pandemia che impone di trascorrere online molto più tempo, il bullismo ha amplificato la sua portata, con foto rubate durante la DAD, un uso sconsiderato dei social network, le sfide, le videochat, le immagini di pezzi di corpo che passano di cellulare in cellulare. Le relazioni a distanza hanno dato vita a un cyberbullismo diffuso, al punto che il fenomeno è considerato la minaccia più temuta dagli adolescenti, al pari di abuso di droghe e violenze sessuali.
Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, il 61% dei giovani afferma di essere vittima di bullismo o di cyberbullismo, e il 68% di esserne stato testimone. L’incubo maggiore è il revenge porn.
Una foto o un commento maligno postati in rete atti sono veri atti di prevaricazione che fanno soffrire e possono causare guai seri a chi li compie. Come genitori è bene sapere che si possono fermare: una nuova legge riconosce alla scuola un ruolo centrale nella lotta e nella prevenzione, oltre a dare a madri e padri indicazioni precise su come tutelare i propri figli nel caso siano vittime e su come evitare che i propri figli diventino, anche involontariamente, carnefici. Ne parliamo con Marco Stucchi, avvocato dell’associazione Altroconsumo.
Primo: la volontà di fare male
Il cyberbullismo è stato oggetto di un intervento normativo, la legge 71 del 2017, che per la prima volta ne ha scritto una definizione: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché diffusione di contenuti online”.
Si tratta, in concreto, di forme di prepotenza attuate nei canali di comunicazione digitali per danneggiare un minorenne considerato più debole. Che differenza c’è tra uno scherzo tra ragazzi, magari volgare e pesante, e un atto di cyberbullismo? “Il bullismo è un comportamento ripetuto nel corso del tempo – spiega Marco Stucchi – Non si tratta di un singolo episodio fine a se stesso. Nello scherzo manca l’intenzione di provocare un danno all’altra persona o di fargli del male. Nel bullismo c’è una forte prevaricazione del soggetto debole”.
Secondo: avvertire la scuola
La legge identifica la scuola come luogo educativo e rieducativo e prevede che ogni istituto si doti di una e-policy inserita nel Regolamento di Istituto, con un docente che coordina le iniziative di prevenzione e di contrasto anche avvalendosi dell’aiuto delle forze di Polizia.
Se gli atti di bullismo si verificano a scuola, bisogna segnalarli immediatamente al dirigente scolastico o al docente referente. La scuola è tenuta ad attivarsi per adottare le misure necessarie a raccogliere informazioni, prevenire o rimuovere eventuali post offensivi.
Se non riguarda la scuola
Nei casi in cui la scuola sia estranea agli atti di bullismo, bisogna contattare il gestore del social network o della piattaforma nella quale sono avvenuti gli atti offensivi. “La legge 71/2017 stabilisce i tempi e le modalità per chiedere la rimozione dei contenuti ritenuti dannosi per il minore – continua Marco Stucchi -. La richiesta può essere presentata dallo stesso minore o dal genitore al titolare del trattamento dei dati, al gestore del sito internet o del social media. La risposta (o almeno la presa in carico) deve essere trasmessa entro 24 ore, trascorse le quali si può presentare un’istanza al Garante della protezione dei dati”.
Esistono anche servizi online gestiti da Telefono Azzurro e Save The Children per segnalare la presenza in rete di materiale pedopornografico alla Polizia Postale.
Posso fare denuncia?
Nel caso in cui il molestatore abbia compiuto i 14 anni, la famiglia della vittima può fare istanza alla Questura della propria città per un ammonimento. Il Questore verifica che la domanda sia fondata, dopodiché convoca il minore responsabile e il genitore per approfondimenti investigativi, prima di ammonirlo oralmente e invitarlo a tenere una condotta conforme alla legge.
Si tratta di un provvedimento di tipo amministrativo, con possibili ed eventuali risvolti penali tanto per l’autore del gesto, quanto per i genitori o la scuola, in caso di mancata vigilanza sul minore.
Ogni denuncia di atto di bullismo comporta, pertanto, indagini da parte della Procura, con conseguente rischio di rinvio a giudizio. Questo discorso non vale se il bullo ha meno di 14 anni, perché al di sotto di quell’età non si è punibili penalmente.
Nemmeno un like, mai
C’è un terreno confuso su cui molti ragazzi inciampano. Magari non sono loro che direttamente infastidiscono la vittima, ma con il loro comportamento si rendono corresponsabili. Va spiegato molto chiaramente che chiunque metta un like o condivida un post, si rende complice aumentando la portata offensiva dell’azione.
La maggior parte dei ragazzi è convinta che si tratti di un semplice scherzo, se però si riscontra la volontà e consapevolezza di arrecare un danno, anche solo per un like, c’è una responsabilità sotto il profilo penale.
L’impegno del Ministero per l’Istruzione
Dal 2017 è stata istituita la Giornata nazionale contro il bullismo a scuola, che coincide con la Giornata Europea della Sicurezza in Rete (Safer Internet Day), il 7 febbraio. In occasione di questa ricorrenza che porta a riflettere su nuove azioni e strategie, tutte le istituzioni scolastiche italiane sono state invitate a dire “NO” al bullismo a scuola, proponendo attività di sensibilizzazione rivolte agli studenti e alle loro famiglie.
Per aderire alla campagna, il MIUR chiede di utilizzare il bollino ufficiale “Il nodo blu” su social e pagine ufficiali.