La rivista Nature ha incrociato i dati delle ricerche svolte in diversi Paesi per analizzare l’impatto della pandemia sui più piccoli
I bambini sono il prodotto dell’ambiente nel quale nascono e crescono. Non è dunque una sorpresa che i bambini nati dopo la pandemia ne abbiano risentito le restrizioni sanitarie.
Un articolo pubblicato sulla rivista Nature ha incrociato i dati delle prime ricerche svolte in diversi Paesi, a partire da quello condotto all’ospedale pediatrico Presbyterian Morgan Stanley di New York, che ha riscontrato differenze di sviluppo neurologico tra il gruppo dei piccoli nati negli ultimi due anni rispetto a ai bambini nati prima della pandemia.
Messi a confronto, è emerso un ritardo nella comunicazione e nelle capacità motorie dei bambini della generazione Covid. La buona notizia è che il ritardo sembra ampiamente recuperabile.
Il fattore ambientale
Sul ritardo non inciderebbe il fatto che i genitori abbiano contratto il virus Sars-Cov2 e neppure che il neonato stesso sia stato contagiato. A incidere sono piuttosto l’ambiente nel quale i bambini sono nati e cresciuti. La ricerca newyorkese ha suggerito che lo stress vissuto dalle madri durante la pandemia abbia influenzato negativamente lo sviluppo del cervello fetale in alcuni casi.
Una volta nati, i bambini avrebbero risentito di una minore interazione con i propri genitori, che sono stati meno inclini a parlare e per certi versi più chiusi emotivamente a causa del contesto pandemico.
Isolamento, ansia e depressione
Secondo gli studiosi, un’altra possibile causa per questi ritardi è stata l’isolamento forzato di molte famiglie con neonati e bambini piccoli, a causa dei vari lockdown. Le restrizioni sanitarie come il distanziamento si sono tradotte in meno interazioni sociali e meno tempo di gioco.
Anche gli operatori sanitari e gli assistenti alla prima infanzia, più stressati, hanno dedicato meno tempo individuale ai bambini piccoli rispetto al passato.
Altri studi eseguiti dalla Fondazione IRCCS Mondino di Pavia hanno riscontrato che a incidere in modo determinante sui neonati è lo stato di ansia o depressivo delle donne in gravidanza.
Su 8mila neomamme intervistate, quasi la metà ha riferito di aver sperimentato sintomi di ansia, mentre un terzo ha avuto sintomi di depressione, una percentuale molto più alta rispetto agli anni pre-pandemia. Ansia e depressione sembrano influire sullo sviluppo del cervello del nascituro.
A soffrire di più i maschietti
Un altro contributo importante per capire come i fattori ambientali modellino lo sviluppo del cervello nei bambini è arrivato dall’Advanced Baby Imaging Lab della Brown University di Providence, dove usando la risonanza magnetica in una serie di test simili a quelli effettuati per misurare il QI, è emerso che i bambini nati dalla pandemia abbiano ottenuto risultati inferiori rispetto alla media.
Gli studiosi hanno anche scoperto che le capacità motorie sono state quelle più colpite e che in generale le bambine sono state meno coinvolte rispetto ai maschietti.
I fattori sociali
L’incidenza di ritardi nello sviluppo cognitivo e motorio è risultata maggiore nei bambini provenienti da famiglie a basso reddito, a riprova della correlazione tra disparità socio-economiche ed effetti negativi del Covid.
In una ricerca sono state registrate le interazioni tra genitori e figli a casa e si è scoperto che il numero di parole pronunciate, negli ultimi due anni, è stato inferiore rispetto agli anni precedenti.
Molti bambini piccoli non hanno giocato regolarmente con altri bambini e non sono andati al parco, mentre chi ha frequentato l’asilo nido o la scuola materna o ha partecipato ad attività di gruppo, ha oggi migliori proprie capacità linguistiche e motorie.
Anche nei Paesi Bassi è stato riscontrato che le perdite di apprendimento sono state fino al 60% maggiori per i bambini provenienti da famiglie meno istruite.
La scuola in presenza
Anche se con la mascherina, sembra che la scuola in presenza sia fondamentale per i bambini.
Le ricerche citate da Nature allontanano il timore del danno rappresentato dal dispositivo sanitario nei più piccoli, che non sembra interferire con la percezione emotiva o linguistica. È stato riscontrato che i bambini di due anni erano ancora in grado di capire le parole pronunciate dagli adulti con maschere opache.
Ricercatori negli Stati Uniti hanno scoperto che, sebbene le mascherine rendano più difficile per i bambini percepire le emozioni degli adulti (lo stesso si verifica, per inciso, quando gli adulti indossano occhiali da sole) la maggior parte dei bambini è in grado di fare valutazioni accurate e di reagire.
“I bambini compensano i deficit di informazioni più prontamente di quanto pensiamo”, ha riferito l’autore principale dello studio della National University of Singapore.
Ritardi recuperabili
La spiccata capacità di adattamento dei bambini lascia ben sperare sul pieno recupero dei ritardi cognitivi e motori riscontrati, che non dovrebbero avere effetti duraturi. “Il cervello dei bambini di sei mesi è molto plastico” assicurano gli studiosi del Presbyterian Morgan Stanley di New York.
“I primi mille giorni di vita sono cruciali per costruire i primi fondamenti e, a questo punto della pandemia, i nati nel marzo 2020 hanno 650 giorni, quindi siamo in tempo per intervenire. Ma dobbiamo farlo presto”.
I rimedi
Sapere che gli effetti sono momentanei e non necessariamente a lungo termine è rassicurante. “Il QI, valutato da bambini, non prevede molto. È davvero difficile pronunciarsi su cosa significherà per il loro futuro. I bambini hanno una tale capacità di adattamento ed elasticità che ci aspettiamo una generazione poco ferita da questa pandemia”.
Per pediatri e ricercatori, la miglior risposta, la più semplice ed immediata, è quella di stimolare il più possibile i nati nell’era Covid, giocare con loro, parlare, leggere storie e soprattutto incrementare i momenti di frequenza con i coetanei.