Si parla tanto di mamme equilibriste, di difficoltà nel conciliare maternità e lavoro, di aziende che dovrebbero garantire flessibilità alle donne. Ma, arrivati nel 2016, non sarebbe il caso di cambiare discorso? E parlare di genitori acrobati, di conciliazione famiglia lavoro, di buone pratiche aziendali che vengano incontro ai papà come alle mamme? L’8 marzo si celebra la Giornata Internazionale della donna ed esce il film Suffragette: ci ricordano le lotte importanti delle donne per la conquista di diritti civili fondamentali. È arrivato il momento di riflettere su come stanno le cose in casa nostra: abbiamo raggiunto una bella parità, una soddisfacente divisione di oneri e onori?
Alla base della difficoltà di conciliare lavoro e famiglia per tutti quanti c’è un problema aritmetico di impossibile soluzione: occuparsi di casa e figli è un lavoro a tempo pieno. Se si sommano queste ore a quelle del lavoro normale ne esce fuori un monte ore spropositato che non ci sta dentro una giornata sola ed è la causa ragionevole e normale della fatica di questo periodo della vita così bello e impegnativo. Però le donne italiane sono in Europa tra le più tristi, quelle che più si affaticano per via di partner che pretendono o fanno gli gnorri invece di collaborare. Lo confermano tristemente i rapporti Ocse, anno dopo anno.
Ma se invece di lamentarsi con le amiche in un vittimismo complice si provasse a ribaltare la situazione e protestare attivamente? Lasciare il partner tra i fornelli, con il ferro da stiro in mano, alla riunione di classe. Per liberare tempo e fatiche si deve imparare a delegare, iniziando proprio dalle piccole cose. Lasciando perdere le finte giusticazioni del tipo: ‘lui non lo sa fare’, ‘se ne dimentica di sicuro’ e ‘se anche lo sa fare e se ne ricorda, non gliene frega e non lo fa’. Non è vero e non va bene. Ricordiamoci che i bambini ci osservano e che questo è il modello di famiglia e di divisione di compiti che stanno introiettando. Guardiamoci con i loro occhi, giudichiamoci senza compiacenze e modernizziamoci un poco, suvvia.
[Elena Brosio]