“Potrai farlo quando sarai grande”. Quante volte l’abbiamo sentito dire – o l’abbiamo detto – ai bambini? Tradotto nella lingua dei grandi spesso significa qualcosa di molto vicino al “No”. Eppure, fin dall’ingresso di un piccolo in famiglia, la vita è scandita da una lunga lista di riti di passaggio. Per ogni cosa, c’è l’età giusta. Già, giusta: ma quale? E chi lo decide? Non esiste un libro sacro, né un “testo unico” che dia uniformità ai comportamenti di mamme e papà. E poi ci sono i bimbi, ognuno coi suoi tempi e i suoi ritmi.
Quando si fanno i primi passi?
Alcuni progressi, soprattutto i primi, non dipendono soltanto dalla volontà e dalle regole imposte dai genitori. Spesso è una questione di capacità del singolo. Uno dei gradini da salire – non solo metaforicamente – è quello di muovere i primi passi. Pur con tutti i distinguo, qualcosa comincia a succedere intorno al primo anno di età. C’è chi gattona e chi azzarda qualche movimento in posizione eretta, magari appoggiandosi ai giochi da spingere. Gli esperti dicono che il segnale più inconfondibile coincide con i tentativi del piccolo, sempre più frequenti, di appoggiarsi alle sbarre del lettino. Questo progresso non va forzato mai, si può aiutare il bimbo ad appoggiarsi a un mobile per poi, a una piccola distanza, stimolare l’apprendista camminatore a raggiungere mamma o papà, magari tenendo il suo gioco preferito e applaudendo e “rinforzando” i passi compiuti.
Quando si toglie il pannolino?
Spannolinamento: qui le teorie si sprecano, si sovrappongono e si contrastano. Dovendo fissare una data, l’addio al pannolino si dà dopo l’anno e mezzo, ma giocoforza non si spinge oltre i 3 anni, età in cui i bimbi entrano alla scuola materna, dove pannolino e ciuccio non sono accettati. I consigli più diffusi? Non mettere fretta, scegliere un momento in cui fare i primi tentativi quando siamo tranquilli e senza stress, magari d’estate o in vacanza. Dotarsi di uno o più vasini sparsi per casa e qualche giocattolo per ingannare l’attesa. E poi pazienza, tanta. In un attimo si passa dal pannolino al vasino e poi dal vasino al water, passando attraverso l’uso del comodo riduttore.
Quando si mangia tutti uguali?
Tasto dolentissimo! Ci sono famiglie che non riescono mai, neanche con i bimbi di 18 anni, a sedersi a tavola e mangiare tutti la stessa cosa. Diciamo che il grande passaggio verso l’età adulta arriva con l’abbandono delle pappe, subito dopo lo svezzamento. L’evoluzione dell’apparato digerente non è precoce e l’Organizzazione Mondiale della Sanità fissa l’inizio dello svezzamento, inderogabilmente, non prima dei 6 mesi di vita. Dalle pappe frullate ai menu di famiglia si arriva entro i 2 anni. Non bisogna correre, è meglio non accelerare, soprattutto prima dell’anno di vita. Esiste anche chi pratica l’autosvezzamento e lascia libero il bambino di assaggiare (e nutrirsi di) quel che c’è in tavola, ovviamente se la cucina degli adulti è sana e bilanciata.
Quando ci si veste da soli?
Il segnale più evidente che una certa fase dell’infanzia si è chiusa è la capacità del bambino di vestirsi da solo. Qui giocano moltissimo le cattive abitudini e la pigrizia. Quella dei piccoli, che non si vogliono sottoporre al fastidio di intrappolarsi in altri indumenti che non siano il pigiama (e tendono a rimandare), ma anche quella dei grandi, che presi dalla frenesia quotidiana non vogliono perdere tempo. Anche in questo caso non esiste un’età precisa. Servono doti di coordinazione che potrebbero manifestarsi intorno ai 3 anni di età, ma gli esperti consigliano di “invogliare” il piccolo già dai 2 anni, magari invitandolo a svestirsi da solo prima di fare il bagnetto o prima della nanna. Attenzione a non confondere (o sovrastimare) le prime avvisaglie di indipendenza da abbigliamento: già dopo l’anno i piccoli tentano di infilarsi il cappello, i guanti o le calze, ma si tratta solo di esercizi preparatori.
Quando si può dormire fuori casa?
Lontani dal nido, magari per il primo pigiama-party: quando si è pronti per trascorrere una notte fuori casa? La questione è legata ovviamente alla capacità del cucciolo di separarsi da mamma e papà e di sopravvivere agli attacchi di mammite (o più rari i casi di papite). È bene non forzare la mano: intorno ai 5 – 6 anni si possono fare i primi tentativi, magari a casa dei nonni o dei cuginetti, in modo da conservare un riferimento familiare contro la crisi da abbandono. Normalmente i primi pigiama-party si fanno negli ultimi anni delle scuole elementari e le prime gite di più giorni, in compagnia solo degli insegnanti e dei compagni, all’inizio delle scuole medie.
Quando si può andare in vacanza da soli?
Scorre più o meno sugli stessi binari della “notte fuori casa” l’attesa che l’erede trascorra una vacanza da solo. Più dell’età incide il grado di indipendenza e la disponibilità di persone di famiglia che si occupino del bambino, tipicamente i nonni o gli zii. A seconda del gradi di familiarità dell’adulto con cambio pannolini, pappe e nanne, l’età giusta per andare in vacanza “da solo” comincia a 3 anni e si mantiene inalterata fino a 16, quando “da solo” significa “da solo con gli amici in tenda in Spagna” e allora la discussione passa su piani diversi. L’estate ragazzi e i campi estivi offrono soluzioni di vacanza all inclusive per chi ha almeno 6 anni, difficilmente meno. Attenzione a forzare la mano: se il piccolo non è convinto di restare, rischiate di doverlo tornare a prendere il giorno dopo averlo lasciato.
Quando si può bere un goccio di vino?
“Ma cosa vuoi che sia un goccino!”. Gli alimenti “da grandi” come vino, birra e caffè, hanno ben precisi limiti di legge, controfirmati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Medici ed esperti invitano a procedere con estrema cautela: i piccoli vizi del cucchiaino di caffè o il dito di vino dolce sono innocue trasgressioni la prima volta, ma alla decima o ventesima potrebbero evolvere in comportamenti pericolosi. Il consiglio è di negare (pur senza essere troppo rigidi, per non scatenare la curiosità e ottenere l’effetto opposto) almeno fino ai 12 – 13 anni per il caffè, tassativamente fino ai 18 per gli alcolici e il fumo.
Quando si può stare a casa da soli?
I limiti sono di diversa natura: c’è quello di legge, che fissa in almeno 14 anni la soglia oltre la quale i genitori possono allontanarsi senza conseguenze. C’è poi quello “naturale” che riguarda la personalità dei bimbi. Secondo gli esperti, per badare a se stessi i bambini devono aver sviluppato il “pensiero operativo”, ovvero la capacità di muoversi nell’ambiente decodificandone i possibili rischi e pericoli. È una dote che dovrebbe consolidarsi dopo i 9 – 10 anni; prima è decisamente sconsigliabile lasciarli da soli, anche per poco. Sicuramente non succederà nulla, ma il bambino potrebbe avere la percezione che mamma o papà possano non tornare, finendo per spaventarsi anche molto.
Quando si può avere il cellulare?
Il convitato di pietra, inutile negarlo, è sempre lui: il telefonino. Quando permetterlo? La domanda è da un milione di dollari. Chi lo rifiuta, rischia di condannare il figlio all’isolamento, chi lo accetta rischia una dipendenza da cui poi farà fatica a emanciparsi. I pediatri americani impongono il veto assoluto a smartphone e tablet prima dei 18 mesi. In Europa la soglia di prudenza è altissima fino ai 5 anni: non più di un’ora al giorno. Una bella sfida. Il cellulare di proprietà del bambino non dovrebbe arrivare che alle soglie della scuola media, ma molto dipende dalle esigenze familiari. Sicuramente l’uso e anche la custodia nelle ore di scuola è vietato (o fortemente sconsigliato) dappertutto.