Caterina non soffre di amnesie gravi, ma quest’anno, al momento della ripresa autunnale, riconosce di essere stata travolta da un’importante, sostanziale “dimenticanza”: quella di dover tornare a vivere in città con due figli mediopiccoli, un fidanzato lontano, il padre dei suoi figli distante, i nonni altrove.
Si era inoltre “dimenticata” che la babysitter sarebbe tornata solo a ottobre (sarebbe tornata o avrebbe trovato un lavoro vero?), si era “dimenticata” che la settimana di mare con l’Atleta, fidanzato a distanza, sarebbe stata solo una e poi ciao ciao per tre settimane; si era “dimenticata” della quantità di incomprensioni che potevano esserci ancora tra lei e il padre dei ragazzi con una serie di conseguenze negative sul fluire sereno della vita di tutti e sulla spartizione di responsabilità e impegni con i figli. Si era “dimenticata” di essere la custode principale di ogni singolo piccolo ingranaggio della vita a tre: ritmi di scuola compiti merenda chitarra tennis; spesa pulizia burocrazia farmacia pidocchi piatti pile di panni.
Ah: si era “dimenticata” del fatto che il suo lavoro era un po’ cambiato: un ruolo diverso, diversi obiettivi, diverso stipendio; ci volevano fantasia, tempo e anche una calcolatrice per far tornare tutto. Si era, in sostanza, “dimenticata” che dopo la girandola dell’estate che avvicina gli affetti, sguinzaglia i tempi e mescola i cieli, tutto sarebbe dovuto tornare ben incasellato e organizzato tra le vie ortogonali della città. Non è bastato girare la chiave nella serratura di casa per ricordare, ri-cor-dare, letteralmente riportare dalle parti del cuore tutto quello che aveva “dimenticato”, perché più che un riaccostare tutto al cuore è stato un urto, una specie d’incidente con la sua stessa vita e tutto quel che comporta e richiede. Tanto più che nessuno intorno a lei (perché erano tutti lontani, a parte le amiche altrettanto prese dalla ripresa) sembrava accorgersi della fatica che stava facendo.
Ma poi aveva capito quale pezzo mancava al puzzle della dimenticanza: si era “dimenticata” di esplorarle davvero, le sue emozioni (o forse tra pidocchi panni e pianti non aveva tempo?) e poi dirle, verbalizzarle. Chiarirle a se stessa prima di tutto: riconoscere i fatti e i sentimenti, le emozioni e i vincoli, le preoccupazioni e i sogni. Invece, teneva tutto confuso e compresso in un barattolo di lacrime inghiottite e in una valigia di lamenti e in un silenzio colpevolizzante che lasciava perplesso l’Atleta, al telefono a 80 km da lei. Poi è arrivato il giorno in cui si è seduta e si è fatta un giro per davvero dalle parti del cuore: le priorità al posto giusto, i desideri che brillano, la rinuncia a qualcosa (tipo due concerti che avrebbe tanto voluto sentire), la gioia per l’amore condiviso, l’accettazione dei limiti e la chiarezza di che cosa voleva dire e a chi. Allora tutto è diventato più leggero, suo, integrato. Infine le ha anche scritte, a mo’ di promemoria, non si sa mai.
[Marina Gellona]