Massimo Guarini, papà videogame

da | 2 Lug, 2016 | Persone

High-tech e bucolica: la sede di Ovosonico sorprende nel suo riuscito mélange di contrasti. I cespugli fioriti, la vista sul lago, l’affaccio su un prato verdissimo fan da contrappunto alla professionalità degli uffici, all’ipertecnologia dello studio e all’estetica minimalista-chic degli ambienti. Qui incontriamo Massimo Guarini, direttore creativo di Ovosonico e papà di Alice, per farci raccontare di bambini e videogame, di creatività ed educazione e se e come diventare papà ha cambiato il suo modo di lavorare.

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Come mai Ovosonico? “Ovosonico è un campus creativo, non il solito studio di digital interactive games. L’uovo per me è il simbolo di qualcosa che nasce e mi piace la sua forma essenziale e tonda, ricorda quella di un’ugola che canta. Ovosonico è un manifesto per dire qualcosa di diverso, di eclettico. Siamo uno studio che propone contenuti del tutto originali, e ci fregiamo dell’unicità di essere il solo studio italiano che ha stretto una partnership in esclusiva con Sony Computer Entertainment Europe”.

Nippon videogame story

Massimo e la sua compagna Erica sono tornati in Italia nel 2011 dopo 8 anni passati all’estero, di cui 4 in Canada e 4 in Giappone. “Per il mio lavoro vivere in Giappone è stato stimolante: ho incontrato e lavorato insieme a persone famose nel campo dei videogiochi. Da loro ho imparato molto e al ritorno un’esperienza lavorativa di quel livello mi ha aperto molte porte. Il Giappone per me è sempre stato un sogno e piaceva molto anche a mia moglie, che lavora come traduttrice e localizzatrice. Nessuno dei due aveva voglia di tornare in Italia – ci avevano appena esteso il Visa – ma siamo stati costretti a farlo per via del terremoto del 2011. In Giappone la terra trema spesso e nessuno ci fa particolarmente caso. Quando ho visto i giapponesi scappare fuori dal grattacielo in cui ci trovavamo per una riunione, lì sì che mi sono impressionato, ho capito che stavamo vivendo un evento catastrofico, del tutto fuori dalla norma. Per fortuna, spavento a parte, non abbiamo subito alcun danno, ma mia moglie all’epoca era incinta e nel periodo successivo al disastro di Fukushima c’era una grande incertezza sui livelli di radioattività nel quotidiano. Anche fare una semplice doccia poteva essere un potenziale pericolo. In un primo tempo ci siamo trasferiti a Osaka, ma l’insicurezza persisteva. Ho chiesto consiglio all’ambasciata che inizialmente ci ha rassicurato, poi, scoperto che Erica era incinta, ci ha sollecitato a tornare in Italia al più presto. Siamo partiti in tutta fretta, io, lei, due valigie e il gatto, da un aeroporto di Osaka imballato e confuso”.

Dal Fuji al Rosa

Lasciati moglie e gatto a Milano, Massimo torna in Giappone per licenziarsi e chiudere casa. “Durante quel mese ci sono state numerose scosse di assestamento, che mi hanno convinto della ragionevolezza della nostra decisione, nonostante l’amore per il paese”.

E cosa ti ha colpito dell’Italia al tuo ritorno dopo tanti anni all’estero? “Che non era cambiato nulla – era tutto uguale, il che è rassicurante, ma anche un poco sconfortante. A Tokyo ogni zona della città ha la sua vocazione, in centro c’è il business, intorno ci sono i quartieri dedicati al divertimento e alla vita notturna. Le zone residenziali sono un po’ come paesini, tranquillissime: lì di notte si dorme davvero indisturbati. A Milano ogni quartiere è un mix di tutto, residenziale, commerciale, notturno. Da un lato questo è bello, ma mi sono reso conto dei risvolti negativi quando è nata Alice: di notte era continuamente svegliata dai camion che sfrecciavano sotto casa o dal vociare proveniente dal locale vicino. Ci è venuta voglia di staccare dalla vita frenetica della città. Mia moglie è originaria del Varesotto, conoscevamo bene la zona. Fatti due calcoli, l’affitto di questa meravigliosa villa su tre piani con giardino a Varese è paragonabile a un ufficio in centro a Milano, ma infinitamente più bello. Ci sono il lago, le colline, la vista sul monte Rosa, l’aria è buona, il traffico sopportabile. Insomma, la qualità della vita è un’altra cosa, soprattutto per una famiglia”.

Villa Ovosonico

La sistemazione indipendente ha anche un significato forte di assunzione di identità per Ovosonico. “Mi piaceva l’idea di fondare la mia azienda su un modello diverso da quello del business milanese classico. Villa Ovosonico è un campus creativo in cui le persone riescono a esprimersi al meglio, senza essere prigioniere di spazi angusti e grigi. Il nostro business si colloca in una sorta di territorio inesplorato nel mondo dei videogame – la nostra strategia è stata infatti di puntare a una fascia di mercato nuova, quella dei 30-40enni: chi giocava da ragazzino e ora ha un lavoro, magari una famiglia, poco tempo. La visione del gioco e i gusti sono diversi: si tratta di un grande cambiamento generazionale nel mondo dei videogame. Per soddisfare le preferenze di un’audience più variegata e adulta è necessario cambiare i contenuti, che devono essere più coinvolgenti, non la tecnologia. Crediamo fortemente nel potenziale dei videogiochi emozionali e puntiamo su una forma narrativa con un linguaggio universale che li renda fruibili da chiunque”. Il risultato è Murasaki Baby, un gioco dall’estetica poetica e struggente: protagonista una iconica bambina che si muove tra scenari di grande impatto visivo con un palloncino a forma di cuore in mano. “Murasaki Baby è un’idea nata da uno schizzo su carta e da una volontà precisa di immediatezza d’uso e da un forte senso estetico. Un design è perfetto quando non si può più togliere niente”.

Play different

Viviamo a Gavirate, sulle rive del lago: qui si sta bene, i ritmi sono rilassati e c’è pure una comunità di expat piuttosto ampia, piacevole per noi che expat siamo stati per molti anni. Per me è fondamentale che mia figlia cresca esposta a una cultura internazionale, che fin da piccola abbia una visione globale del mondo, che sia aperta a nuove idee, non legata a un territorio particolare. Bambina Alice, pianeta Terra, sistema solare”.

Tu che per lavoro crei programmi digitali, come vivi il rapporto tra bambini e tecnologia? “Per me è fondamentale scindere il mondo digitale dall’esperienza di crescere un bambino, sono a favore di un buon bilanciamento tra natura e tecnologie, che non vanno né demonizzate né abusate per intrattenere i figli. Secondo me bisogna lasciare che siano i piccoli ad avvicinarsi ai vari device, che si orientino da soli nelle scelte. Saper utilizzare con immediata spontaneità la tecnologia è un vantaggio per un bambino, ma per una crescita sana non devono mancare forme di intrattenimento alternative. L’esperienza interattiva e i videogiochi possono essere un momento di crescita, una ginnastica incredibile per il cervello – Alice sta imparando l’inglese grazie a una app sul telefonino. Giocare a un buon videogame per un bambino è senz’altro formativo: devi raggiungere un obiettivo, calcolare le probabilità, essere tenace e non perdere di vista le opportunità: una grande palestra di pensiero. Il problema è non abusarne, non vivere immersi in un unico ambiente emozionale per settimane o mesi, non staccarsi dalla realtà. Il mezzo interattivo usato in modo saggio è buono per la crescita, ma non deve essere usato come ripiego”.

Sporcarsi le mani

“Da bambino sono cresciuto in un appartamento di città giocando in cameretta, mi mancava l’infanzia in cui ti sporchi le mani con la terra e con il fango: sono felice di poterla regalare a mia figlia. Nella mia funzione educativa mi piace l’idea di un’esplorazione accompagnata: accompagnare la bimba nelle sue attività ma lasciarla libera di sbagliare e cadere, che si tratti di bicicletta o di videogame”. Per me come papà non c’è piacere più grande del raccontare storie a mia figlia, mi pare un modo magnifico e ricco di passare del tempo insieme”.

E ruotando la prospettiva, diventare papà ha influenzato la tua attività professionale? “Non c’è un collegamento diretto tra quello che sviluppiamo e la mia paternità. Però un bambino ti fa vedere il mondo da prospettive semplificate, dalla base. A volte chiedo a mia figlia di testare le cose che sto sviluppando ma, in generale, quando siamo in famiglia ci piace vedere film e uscire a cena fuori. Non giochiamo molto ai videogame, anche perché non ne trovo molti che ci piacciano. Così la soluzione è una sola: svilupparli”.

E cosa dice tua figlia quando le chiedono che mestiere fa papà? “ È semplice, papà fa i videogame”.

[Elena Brosio e Giorgio Pulini]

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