Vita da expat e tre bimbi figli di cooperanti

da | 31 Gen, 2017 | Persone

Abitano a Bamako, la capitale del Mali. Prima vivevano in Francia, figli di una coppia di genitori italiani che di mestiere fanno i cooperanti. Sono Zoe, Gaia e Omar (8, 6 e 3 anni), bambini ad alta vocazione internazionale.

Michela, 37 anni, originaria di Ivrea, sta realizzando, assieme a loro e al marito Giuseppe, il suo sogno nel cassetto: girare il mondo e lavorare nel settore umanitario. “Arrivo da una famiglia dove il nonno faceva il volontario in Africa e ho sempre desiderato poter viaggiare come lui – racconta Michela -. I primi contatti con la cooperazione allo sviluppo li ho avuti una quindicina di anni fa con il Servizio Civile presso una organizzazione non governativa di Torino. Mi occupavo di educazione alla mondialità, andando nelle scuole a raccontare la vita dei bambini in Africa, Asia e America Latina. Ho pensato da subito che quel lavoro facesse per me: ma volevo vedere con i miei occhi le storie che raccontavo”. Dopo il Servizio Civile Michela parte per la Francia e qui comincia la sua carriera da educatrice nelle periferie, a stretto contatto con la comunità magrebina. “Lavoravo principalmente con bambini di origine straniera e l’intercultura era il mio contesto quotidiano”. Nel frattempo la famiglia si allarga e nascono Zoe e Gaia. L’occasione di “tornare alle origini” e trasferirsi, almeno per un po’, al sud del Mediterraneo si presenta dopo un viaggio, a suo modo rivelatore, in Africa. “C’entra la scomparsa di mio nonno; insieme ai miei cugini siamo volati in Kenya per visitare i luoghi e i progetti in cui era stato da volontario. Con mio marito abbiamo deciso di fermarci un mese e mezzo per sperimentare la vita africana assieme alle bambine, che abbiamo iscritto all’asilo, e capire se potesse davvero fare per noi”.

Siamo sempre stati dei gran viaggiatori, ma ci ha sorpresi vedere le differenze quando si viaggia con i bambini. Cambia lo status: non sei più il giovane europeo con lo zaino in spalla a zonzo per paesi esotici: diventi un genitore. Questo cambia l’approccio verso le persone, si diventa uno alla pari. La comunicazione si semplifica (anche perché in Africa i bimbi bianchi attirano sguardi e curiosità!) ed è facile iniziare a chiacchierare dal nulla. Ci è sembrato ancora più interessante fare questo tipo di lavoro con i bambini ed è stato allora che abbiamo detto sì alla cooperazione internazionale”.

Non si smette mai di studiare

Tornati dal Kenya, Michela e Giuseppe si rimettono sui libri: “Ci mancava il titolo per poterci candidare come cooperanti internazionali. Quando sei giovane è più facile perché puoi partire come volontario; ma quando hai una famiglia e hai fatto per anni altri lavori, devi capire come adattare le tue competenze al settore dell’umanitario e poi puntare a posizioni come quella da capo progetto”. Entrambi, ma in tempi diversi, si iscrivono a un master presso l’Institut Bioforce di Lione, “un’eccellenza nel mondo delle scuole sull’umanitario” dice Michela. “Il primo a frequentare il master è stato mio marito, che fino a quel momento si era occupato di ricerca fondi per privati e organizzazioni non governative. Quando è partito per la sua prima missione di quattro mesi in Camerun con Medici Senza Frontiere, io sono rimasta a casa coi bimbi. È tornato con la certezza che il nostro progetto non era un azzardo: aveva conosciuto varie famiglie di espatriati con bimbi al seguito. Ho fatto il master anche io; dopodiché ho raggiunto Giuseppe in Mali, che intanto aveva ottenuto il posto di capo missione presso una Ong francese”. Oggi Michela è tornata a lavorare per il CISV, l’organizzazione che l’ha ospitata durante il Servizio Civile, anche lei con il ruolo di capo missione.

Una famiglia di viaggiatori

Com’è stato partire per l’Africa con tre bambini? La faccenda dei vaccini, per esempio? “Devo ammettere che è stato tutto molto spontaneo. Quando mio marito ha iniziato il master, abbiamo detto ai piccoli che prima o poi saremmo partiti per l’Africa. Alle due bambine l’esperienza in Kenya era piaciuta, quindi hanno reagito bene; Omar, beh, lui era davvero troppo piccino per rendersi conto! Credo che il fatto di essere di origini italiane e quindi l’essere considerati stranieri innanzitutto nel paese in cui vivevano, la Francia, li abbia dotati di una certa predisposizione ad accettare il viaggio e il trasferimento. Inoltre, li abbiamo abituati a muoversi: non a caso Zoe, la grande, ci ha più volte definito “una famiglia di viaggiatori”.

Per quel che riguarda i vaccini, arriviamo dalla Francia, dove sono maniaci delle vaccinazioni! Abbiamo fatto davvero un bel cocktail, col senno del poi credo che ne farei qualcuno in meno”.

I bambini e la guerra

Dal 2012 in Mali c’è una guerra che si combatte principalmente al nord. Michela e la sua famiglia abitavano già nel paese quando, il 20 novembre 2015, si è verificato l’attentato terroristico all’albergo Radisson Blu di Bamako. “È soprattutto Zoe ad avere la percezione del conflitto e a sapere che ci sono delle misure di sicurezza da seguire, perché il rischio zero non esiste. Un giorno, durante le vacanze scolastiche, ho proposto a lei e i suoi fratelli di andare con la tata al cinema del Centro Culturale Francese: è stato allora che mi ha chiesto se non fosse pericoloso andare in un luogo tanto frequentato come il cinema. L’ho rassicurata, dicendole che alle proiezioni pomeridiane non va molta gente e che sarebbero stati al sicuro”.

Scuola e tempo libero in Mali

I bimbi di Michela e Giuseppe sono iscritti alla scuola materna e a quella elementare. Si tratta di un istituto privato, di impostazione francese “con costi a cui non eravamo preparati, nonostante non sia il più caro”, frequentato da maliani benestanti. Arrivando dall’ambiente multiculturale francese, i tre bambini sono abituati a vedere coetanei “di tutti i colori”: anche per questo, secondo la mamma, “cambiare scuola non è stato vissuto come un trauma, ma è stato accettato con serenità”. Michela racconta che continua a stupirla “come hanno perfettamente integrato il concetto di intercultura: se devono indicarti un altro bambino, ti diranno quello col cappellino piuttosto che quello di carnagione scura”.

Cosa fate nel tempo libero? “La scuola li tiene occupati dal mattino presto alle 17.30, quindi non hanno tantissimo tempo libero. Per fortuna fanno laboratori, gli stimoli non mancano. Zoe è l’unica a svolgere un’attività extrascolastica: segue un corso di taekwondo, arte marziale per cui il Mali è stato candidato anche all’oro olimpico”. Durante il weekend ci si ritrova con le altre famiglie, spesso in casa, soprattutto a causa della situazione di insicurezza del Mali, che limita i cooperanti negli spostamenti: “non possiamo frequentare luoghi affollati né uscire da Bamako”, dice Michela. Ai genitori è richiesta creatività per rendere speciale qualcosa di normale ed è così che andare a mangiare il gelato, fare colazione al bar, passare un pomeriggio nella piscina di un hotel possono diventare eventi eccezionali e preziosi.

Oggi vengono i nonni a trovarci?

Mantenere vivo il rapporto nonni-nipoti è fondamentale. Lo sa bene Michela, che è riuscita a portare a Bamako tutti e quattro i nonni (e anche la zia!) per condividere con loro un po’ di quotidianità africana. “Nonostante, abitando in Francia, la lontananza sia all’ordine del giorno, quando i nonni materni e paterni hanno saputo che ci saremmo trasferiti in Mali sono rimasti gelati! Dopo la sorpresa iniziale, però, è arrivata la curiosità di vederci alle prese con la nostra nuova vita; e così, un po’ alla volta, son venuti tutti e quattro a visitarci. Mia suocera mi ha persino accompagnato qui a Bamako quando ho raggiunto Giuseppe un anno fa, trascorrendo con noi le prime settimane. Questi viaggi hanno sicuramente incrementato la fiducia e rafforzato i legami”.

Pro e contro

La vita da espatriato, per un adulto, può essere eccitante ma allo stesso tempo stancante, per via della flessibilità richiesta e della capacità di adattamento. Cosa significa, invece, per un bambino crescere da expat? Michela ha le idee chiare sulla questione: “Ci sono elementi pro e contro, come in ogni cosa. Di positivo, c’è la conquista di uno sguardo interculturale sul mondo, che porta già ora i miei bimbi ad apprezzare e a rispettare la diversità. Visto il contesto multiculturale che li accompagna dalla nascita, ci preme insegnare che ognuno vive secondo il suo modo – in Italia, in Francia e in Mali – che non ci sono culture o abitudini migliori o peggiori, ma quello che ti piace di più e quello che ti piace di meno. Ciò che invece, secondo me, potrebbe essere visto come uno svantaggio è quel che in francese si chiama déracinement, cioè il non appartenere ad alcun posto. La loro è un’identità mista, italo-francese, che oggi si sta contaminando con quella maliana. Insomma, appartengono in tutto e per tutto al mondo degli espatriati, a quella categoria di persone che considera casa laddove va a vivere con la proprio famiglia”.

Progetti per il futuro

Michela, Giuseppe e i loro tre bambini restano in Mali fino alla fine dell’anno scolastico. Poi tornano in Francia qualche mese per le vacanze estive e per “riassettare” la casa-base europea. Dopodiché vorrebbero ripartire. Per dove? “Al momento ci piacerebbe rimanere in Africa, in un paese francofono, così da agevolare i bambini. Sappiamo bene che quello del cooperante non è un mestiere che puoi fare tutta la vita, ma sarebbe bello far scoprire a Zoe, Gaia e Omar quanti più mondi possibili… Non ditelo ai nonni, però!”.

[Serena Carta]

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