Quando l’adolescenza entra in casa: ne parliamo con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e autore del best-seller “L’età dello tsunami”
Mentre astrofisici e ricercatori, all’inizio di febbraio 2017, annunciavano la scoperta di un nuovo sistema di pianeti sui quali – forse – c’è vita, nell’universo privato delle famiglie che hanno bambini e bambine sulla soglia dei 10, 11, 12 anni prende forma, all’improvviso, un pianeta turbolento, un fenomeno tanto naturale quanto imperscrutabile, che può lasciare figli e genitori disorientati e scossi. Che ci sia vita, su questo pianeta chiamato “pre-adolescenza”, è sicuro. Che tipo di vita sia, in che cosa si stiano trasformando le creature, ecco, questo per molti genitori rappresenta un mistero a tratti perturbante.
Un nuovo affacciarsi al mondo
“L’età dello Tsunami, come sopravvivere a un figlio pre-adolescente” di Alberto Pellai e Barbara Tamborini, è comparso sugli scaffali delle librerie italiane a gennaio 2017 ed è già alla quinta ristampa: un successo editoriale che racconta, prima di tutto, il grande bisogno di indicazioni competenti e accessibili da parte dei genitori. Il libro è incentrato sulla pre-adolescenza e su tutto il tumulto, la confusione che questa fase della vita porta con sé, fase in cui i ragazzi mettono alla prova i confini del nido familiare, per affermare il proprio tratto personale, tra tentennamenti, ritorni e primi tentativi di lasciare il proprio timido o spavaldo segno nel mondo. Alberto Pellai è medico, psicoterapeuta e ricercatore all’Università di Milano: ha scritto questo libro, e molti altri, con la moglie Barbara Tamborini, psicopedagogista e autrice di diversi testi sull’età evolutiva. Insieme, hanno 4 figli. Lo abbiamo intervistato.
Dottor Pellai, potremmo innanzitutto descrivere il cambiamento che investe un piccolo e lo trasforma in pre-adolescente?
“I giovanissimi vanno incontro a un duplice cambiamento che investe il corpo e la mente. Il corpo va incontro a trasformazioni, attraverso la maturazione sessuale e diventa uno strumento in grado di creare delle relazioni diverse da quelle alle quali sono avvezzi. Cambia anche la conformazione del cervello e con essa la relazione con i genitori: il nuovo modo di pensare – a partire dal modo inedito in cui il cervello di un preadolescente percepisce il mondo e se stesso – prevede che ci si distacchi dalla sintonizzazione con la mente dei genitori per diventare qualcuno di differente, un “se stesso” diverso da mamma e papà. Il secondo cambiamento riguarda l’affacciarsi al mondo, alla società, da parte dei pre-adolescenti, che affrontano una seconda nascita: nascono al mondo, questa volta, e il mondo diventa un luogo da esplorare. Il tratto che riguarda in particolare l’uscita dall’infanzia dei nostri figli oggi, è questo: il mondo reale e virtuale che ci circonda è profondamente cambiato, la sua complessità è maggiore e più delicata”.
Il predominio dell’emotività
“Anni fa si pensava che il cervello iniziasse a ‘invecchiare’ durante l’adolescenza e che da lì fosse destinato a un lentissimo ma inesorabile declino. Ora, grazie agli studi delle neuroscienze, abbiamo acquisito nuove conoscenze, fondamentali per capire meglio le caratteristiche del cervello in ogni età della vita. Il cervello ha due parti con caratteristiche specifiche: la parte limbica, quella del cervello emotivo, in cui si generano le reazioni di gioia, paura, rabbia e dolore (avete presente il film Inside out?), è ipersensibile e lo diventa sempre di più via via che si lasciano gli 11 e ci si avvia verso i 14 anni. È la parte responsabile degli sbalzi d’umore dei ragazzi e delle ragazze, è il fattore che determina il passaggio repentino, nel giro di pochi istanti, da una gioia infinita alla negatività più nera. E poi c’è la parte frontale, il cervello cognitivo, che si sviluppa più lentamente, è ancora immaturo rispetto all’altra parte. Il cervello cognitivo è la parte della mente che valuta i pro e i contro delle situazioni, che sa programmare il tempo per raggiungere un obiettivo, che sa rinunciare a un piacere o gestire un’emozione in vista di un risultato con un senso più profondo ma meno immediato. Ecco, questa parte del cervello nella pre-adolescenza è ancora debole”.
Come dovrebbero porsi i genitori nei confronti dei figli, una volta acquisita questa consapevolezza? “La tentazione di un genitore è di reagire con impulsività, contrapponendo la propria reazione emotiva forte all’emotività incontrollata ed eccessiva dei figli. I comportamenti imprevedibili e irrazionali dei figli mettono a dura prova la nostra pazienza e anche la capacità di comprendere: ma questo avviene proprio perché la razionalità non è, nei ragazzini e ragazzine, a comando. Tuttavia, ciò che aiuta di più un pre-adolescente a crescere e ad allenare la parte cognitiva del cervello, è avere accanto un adulto che riesca a non perdere le staffe. Un adulto capace di accogliere i picchi emotivi con calma, che sappia esprimere il proprio dissenso o punto di vista con tranquillità, insegna ai figli e alle figlie l’autocontrollo, a integrare le ondate emotive in un pensiero riflessivo; e questo approccio allena la parte cognitiva, contribuisce a svilupparla”.
Progetti educativi contrastanti
Un periodo di crescita delicato che avviene in una società profondamente mutata rispetto a quella in cui noi genitori siamo cresciuti. “È così, e le differenze principali sono essenzialmente due: la presenza del mondo virtuale (il web, i social, gli smartphone) e la disponibilità economica di queste nuove generazioni, che fa sì che moltissima pubblicità si rivolga a loro, compresa – e questo è grave e preoccupante – quella relativa ad alcolici e tabacco. In un mondo simile, i ragazzini e le ragazzine crescono strattonati tra due progetti educativi diversi e (si spera!) opposti: da un lato le agenzie educative come la scuola e la famiglia, che vorrebbero tenerli al riparo da dipendenze di ogni tipo e da un eccesso di consumismo proponendo alternative costruttive. Dall’altro, ci sono soggetti adulti (che gestiscono siti, pubblicità, marchi) che invece hanno bisogno e interesse che i ragazzini consumino sempre di più, qualsiasi merce, reale o virtuale e costosa”.
C’è una frase ricorrente nel suo libro e nei suoi interventi in tv, ed è una frase rivolta ai genitori e ai figli: Fermatevi, e guardatevi negli occhi. “Guardarsi negli occhi stabilisce una connessione reale, umana, sensoriale ed emotiva, della quale i figli hanno profondamente bisogno. Il contatto oculare è lo strumento principale di relazione tra esseri umani, è una modalità essenziale e potente, che permette di comunicare all’altro: io sento quello che senti tu, e viceversa. Lo sguardo, fin dalla nascita, favorisce l’empatia, il riconoscimento delle emozioni dell’altro per somiglianza con esperienze vissute, vivibili da chi ci vive accanto. Lo sguardo è uno straordinario strumento educativo perché permette al genitore di comunicare al figlio che il divieto, il no detto con fermezza, è messo per proteggerlo e per fargli fare esperienze nuove ma non distruttive; è un confine necessario ma non è un annullamento della volontà dei figli. Le nuove tecnologie, gli occhi incollati a un qualsiasi schermo, a ogni ora del giorno (e della notte) o alle vetrine reali o virtuali dei negozi, hanno disturbato molto questa connessione di sguardi che va ristabilita, per un buon processo di crescita”.
Piccole azioni di autonomia
Oltre alla connessione di sguardi, quali atteggiamenti e comportamenti è importante che un genitore di un pre-adolescente adotti per attraversare questo periodo della vita con i propri figli? “Sarebbero molte le cose da dire, ma due in particolare reputo fondamentali: non cadiamo in eccessi di protezione dalla realtà e non sostituiamoci alle loro fatiche. Partiamo dal primo: ha notato, per esempio, che i bambini non vanno più in bicicletta? La bici non viene più tanto usata ed era – lo raccontano anche i film, i romanzi, i nostri ricordi – uno dei mezzi di ricerca e conquista d’indipendenza dei giovanissimi. Ecco, noi genitori dovremmo imparare a lasciarli andare di più anche in bici, anche in città, altrimenti quando poi saliranno su un’auto, sarà la prima volta che proveranno un mezzo diverso dai propri piedi, che va veloce, che percorre vie con divieti e segnali stradali. Con le dovute raccomandazioni, lasciamoli andare in bici e compiere tante altre piccole azioni d’indipendenza e di ricerca di autonomia. Impariamo anche a gestirci un po’ di quell’ansia con la quale dobbiamo convivere avendo a che fare con un giovane esploratore del mondo. Imparare a gestire la nostra ansia, per favorire i passi autonomi nel mondo dei figli, è sicuramente tra i nostri compiti e sfide genitoriali. In secondo luogo, educhiamoli a fare fatica: ha presente le mamme che si caricano in spalla lo zaino di figli ormai alti come loro? Ecco, smettiamola. Abituiamoli alla fatica, a prendersi cura e farsi carico delle proprie cose, di piccoli lavori di casa. Cambiamo il copione per attori che non sono più bambini”.
Liberi da modelli e stereotipi
“In alcuni miei libri, che definirei saggi narrativi, cerco di parlare direttamente con i ragazzi e le ragazze per dare loro un punto di vista specializzato (dalla mia professione) ma anche caloroso (dal mio essere genitore) per trovare con loro un dialogo onesto, diretto su ciò che li riguarda, i dubbi e le sfide della loro età. Spesso partecipo a incontri con grandi gruppi di ragazzi – il mese scorso a Rimini ero con quattrocento ragazze e ragazzi – che hanno letto i miei libri e con i quali ci confrontiamo con franchezza”.
Quali sono le cose sulle quali vi siete confrontati, che cosa le chiedono i pre-adolescenti? “Mi chiedono, per esempio, come mai io insista tanto, nei miei libri, sulle differenze di genere, sulla percezione del maschile e del femminile e su quanto non siamo liberi da modelli e stereotipi. ‘Guardi professore che noi lo sappiamo, l’abbiamo assimilato, che maschi e femmine sono uguali’, mi dicono; allora io chiedo loro: ‘Bene… alzino la mano le ragazze che sanno azionare una lavatrice e una lavastoviglie’. E sono tante le mani alzate. ‘E ora i ragazzi’: e, in proporzione, si alzano veramente molte meno mani. Ecco, cerco di comunicare così con loro: con esempi, con la forza della narrazione e di un pensiero pensante su di esse”.
Un’ultima domanda: che senso ha per voi due, per lei e Barbara Tamborini, che siete coppia nella vita, scrivere insieme? “Abbiamo entrambi una competenza professionale in ambito psico-educativo e questo ci porta su temi simili. Inoltre, scrivere insieme ci permette di abbinare e integrare un codice paterno e uno materno. Tanto più che abbiamo quotidianamente a che fare con quattro figli, che cresciamo insieme in una costante rinegoziazione, ridefinizione del nostro ruolo e sintonizzandoci nuovamente ogni giorno tra noi e con loro”.
L’età dello Tsunami, come sopravvivere a un figlio pre-adolescente
di Alberto Pellai e Barbara Tamborini, DeAgostini editore
Un libro molto utile che si pone l’obiettivo di sostenere i genitori nella riflessione e nella ricerca di un proprio centro rispetto ai figli. Invita ciascuno a trovare le proprie personali risposte, senza sentirsi solo nella sfida di educatore. La struttura narrativa è interessante e accattivante: i paragrafi dedicati alle spiegazioni psicologiche si intrecciano alle storie di vita di genitori e figli e ai consigli di film da vedere insieme, con una scheda di lettura e di commento della pellicola. Ogni capitolo si conclude con una sezione domande, pensate per aiutare gli adulti a riflettere su alcuni comportamenti, emozioni, convinzioni e ricordi, propri e dei figli.