Ne sentiamo parlare spesso, ma sappiamo cos’è? La psicomotricità è un percorso di conoscenza di sé che aiuta i bambini a esprimersi e socializzare
Chi scrive ha mandato il proprio figlio – un po’ iperattivo – a fare psicomotricità per tre anni di seguito. Ogni volta che lo accompagnavo mi sono stupita di come lui, ragazzino insofferente alla scuola, ai compagni e alle regole in generale, amasse trascorrere qualche ora chiuso in una stanza assieme a una signora anziana dall’indole piuttosto rigida.
La risposta di mio figlio, ogni volta che glielo chiedevo, era: perché lei mi fa giocare. Ma come? Anche io lo facevo giocare, lo portavo al parco, in palestra, gli facevo i grattini sulla schiena e lo riempivo di coccole.
Poi ho capito che andare dalla psicomotricista, per un bambino, è un po’ come andare dallo psicologo per noi adulti. Un rapporto unico, magari anche una cosa che ci sforziamo a fare. Ma che ci fa stare meglio, che ci permette di acquisire confidenza con noi stessi a fianco di una persona che sta sempre dalla tua parte.
Cos’è la psicomotricità
La psicomotricità si pratica dagli otto mesi di vita agli otto anni circa. E’ composta da un insieme di attività che vengono proposte considerando sempre la spontaneità e l’unicità del bambino.
Ogni bambino ha una sua naturale predisposizione ad agire e a giocare. Lo psicomotricista costruisce un itinerario di maturazione per aiutare il bambino a rielaborare progressivamente le proprie emozioni e a maturare, a livello cognitivo e corporeo.
Lo fa attraverso il gioco, inteso non come pratica fine a se stessa, ma come uno spazio fisico e mentale del bambino che, giocando, entra in contatto con le sue emozioni, le sue esperienze, i suoi desideri, le sue problematiche e i suoi limiti.
Aiutare il bambino e la sua unicità
“Lo psicomotricista comincia la sua attività cercando di comprendere ciò che porta il bambino attraverso il gioco – spiega Milena Monzittu, psicomotricista e presidente dell’Associazione Gli Anni Magici –. Non dice al bambino cosa deve fare, al contrario lo aiuta a sviluppare la sua unicità con piccoli gesti e parole”.
Se la seduta di psicomotricità è di gruppo, il bambino, sotto la guida dello psicomotricista, entra in rapporto con i suoi coetanei, imparando a rispettare se stesso e gli altri. Non ci sono costrizioni o richieste di difficili performance.
“L’espressività motoria del bambino si libera in uno spazio e in una relazione rassicurante. La sala di psicomotricità permette al bambino di scoprire e appropriarsi di una direzione educativa che favorisce la sua crescita, in armonia con le proprie specificità, i propri interessi, i propri confini e barriere”.
Un po’ di storia
Non è semplice identificare una data precisa per la nascita della psicomotricità. Molti si rifanno agli insegnamenti di Julien de Ajuriaguerra, fondatore della neuropsichiatria infantile in Europa e direttore dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile a Parigi, che istituì la prima scuola europea di psicomotricità nel 1961.
Un’altra figura fondamentale è Bernard Aucouturier. Siamo negli anni ’70, in Francia, e alcuni docenti di educazione fisica avvertono i limiti del loro insegnamento, troppo schematico e meccanicista, eccessivamente incentrato sulla prestazione corporea.
Nasce l’esigenza di introdurre un approccio più relazionale, per ascoltare maggiormente i bisogni e le motivazioni dei ragazzi.
In entrambi i casi si considera la disciplina fisica come un metodo di organizzazione del sé, un luogo privilegiato di esperienze e di conoscenza di se stessi e della realtà esterna.
Giocare con il corpo e lo spazio
Psicomotricità è il piacere di giocare con il corpo e scoprire lo spazio. E’ costruire e distruggere, vincere la paura, fare finta, mettere in campo immagini, fantasie e paure, di stare tranquilli.
“La psicomotricità osserva come si organizzano i bambini per giocare. Lascia loro lo spazio per dare libero sfogo alle esigenze di movimento e corporeità. Il gioco permette di sviluppare abilità motorie, cognitive e sociali ed è una espressione importante della vita affettiva del piccolo. Durante la seduta psicomotoria il bambino può compiere esperienze di gioco, da solo o in piccoli gruppi, senza fretta e senza costrizioni, utilizzando il materiale presente nella sala”.
La seduta di psicomotricità
Chi scrive non è mai entrata nella sala di psicomotricità. Lo spazio destinato ai bambini era off-limits per i genitori, che non avevano il permesso di varcare la soglia. Mio figlio si toglieva diligentemente le scarpe, si metteva le calze antiscivolo ed entrava solo dopo aver bussato e atteso il segnale dall’interno. Io lo guardavo stupita.
La seduta di psicomotricità ha un preciso iter, che deve ripetersi per l’intero ciclo al fine di dare sicurezza e stabilità al bambino.
Le fasi sono tre. La prima è l’accoglienza, dove i bimbi (di solito non più di quattro o cinque) si siedono in cerchio e, stimolati dalla psicomotricista, raccontano, se ne hanno voglia, le proprie esperienze, storie o fantasie”.
Le tre fasi della seduta
Si passa poi alla fase senso-motoria, in cui si dà movimento alle emozioni attraverso il gioco. “Questo è il momento i cui i bambini si appropriano dello spazio e degli oggetti presenti in sala. Una pila di cubi può diventare una torre da scalare o un nemico da prendere a pugni, uno specchio può diventare l’unico spazio con cui instaurare una relazione o una coperta può far volare la fantasia tra supereroi e dinosauri terrificanti”.
La terza e ultima fase è quella della rappresentazione. Ai bambini si propongono diverse alternative: realizzare costruzioni con la plastilina, disegnare o colorare su fogli di carta, lavorare con i gessetti sulla lavagna. E’ un momento importante, perché avviene il passaggio dall’azione al pensiero che permette di rivivere ed elaborare ciò che è avvenuto durante il tempo trascorso a giocare”.
La psicomotricista è sempre presente. Con un gruppo di bambini spesso sono in due. Controllando ogni momento della seduta, prestano attenzione a che i bambini non si facciano male e che rispettino le regole del gioco che hanno deciso di realizzare.
La sala di psicomotricità
La sala di psicomotricità può essere una palestra o una semplice stanza. Di solito è colorata – come piace ai bambini – e ricca di oggetti.
“La sala riproduce simbolicamente il corpo della madre e quindi presenta zone morbide (paragonate al seno o all’addome) e zone più spigolose (mani, braccia, gomiti). È lo spazio in cui si riproduce la relazione tra la mamma e il bambino, con tutte le sue peculiarità, positive e negative”.
Ci sono cuscini colorati di varie forme e grandezze, materassi capienti e morbidi, cerchi di differenti misure, maxi-palloni, palline di spugna o plastica, spalliere o plance ideali per sperimentare salti ed evoluzioni. E poi bastoni, forme in legno per costruire, un grande specchio dove incontrare la propria immagine e quella degli altri partecipanti, carta, pennarelli, matite, plastilina, argilla.
Lo psicomotricista
“Ogni seduta psicomotoria si svolge in uno spazio e in un tempo costanti, con un rito iniziale e un rito finale che danno la cadenza. La presenza costante dei materiali proposti e delle persone che conducono il percorso è essenziale. Solo così il bambino può avere uno spazio e un tempo tutti suoi, da esplorare e da organizzare come crede. Si fa tutto in compagnia di una persona, lo psicomotricista, che infonde fiducia e aiuta a esprimersi liberamente e a movimentare emozioni, desideri e frustrazioni”.
Non ci si improvvisa psicomotricisti. L’esercizio della professione è regolamentato ed è subordinato all’iscrizione in un apposito registro professionale tenuto dall’ANUPI, l’Associazione nazionale degli psicomotricisti.