Quando l’ansia blocca la parola: una storia di mutismo selettivo

da | 17 Feb, 2024 | Lifestyle, Persone

L’importanza di muoversi in tempo nel mutismo selettivo: la storia di Leone e della sua famiglia

“Il mutismo selettivo viene clinicamente definito un disturbo d’ansia sociale dell’età evolutiva che impedisce di parlare in alcuni contesti”. È così, con parole semplici e un forte pragmatismo, che mamma Maddalena Ramolini descrive il disturbo che ha colpito il figlio Leone, di cui nel nostro paese ne soffre un bambino ogni cento. Oggi si parla anche di mutismo situazionale poiché è la situazione che influisce e porta i bambini a restare in silenzio, in una forma di autodifesa. Il silenzio infatti, per chi ha questo disturbo, rappresenta una forma di protezione.

Maddalena vive vicino a Milano con il marito Gabriele e i figli Leone, di otto anni, e Lodovico, tre.

Il sesto senso delle mamme

“Leone ha iniziato a parlare presto, aveva poco più di un anno e già pronunciava frasi lunghe e chiare. Poco dopo il compimento dei 2 anni, però ha iniziato progressivamente a parlare sempre meno quando era in compagnia di alcune persone. Ricordo che mancava meno di un mese ai 3 anni e per una settimana ha smesso di esprimersi, anche con noi. La visita dalla pediatra è stata una naturale conseguenza, e se la dottoressa ha ipotizzato che potesse essere un problema psicologico. Io però avevo capito che c’era qualcosa d’altro e avevo iniziato a preoccuparmi”.

Il sesto senso delle mamme ha aiutato Maddalena a chiedere aiuto. “Ho un’amica pedagogista alla quale avevo spiegato le mie sensazioni. Ci ha consigliato di compiere con lui alcune azioni precise e queste ci hanno permesso di aiutarlo. In particolare, mio marito e io non dovevamo sgridarlo quando non rispondeva alle domande e non invitarlo a parlare. Ci ha suggerito di prendere un nostro vecchio peluche e dirgli che anche noi da piccoli ci siamo trovati in situazioni simili e che quel giocattolo speciale ci ha aiutato a superare le nostre difficoltà…”.

Grazie a queste prime indicazioni la situazione inizia pian piano a migliorare e Leone riprende a parlare con i genitori, in parte anche con i nonni materni e soprattutto con uno zio, ma con nessun altro. “Se qualcuno in strada gli chiedeva il suo nome, non rispondeva – ricorda Maddalena -. “Eravamo partiti per la montagna con diversi amici e lui non ha parlato con nessuno per la durata di tutta la vacanza”.

Come cogliere la differenza tra timidezza e mutismo?

Si stava delineando una situazione difficile che Maddalena e Gabriele non sapevano come affrontare. “All’inizio non sapevamo proprio quale fosse il modo migliore per aiutare nostro figlio. Dall’esterno anche i famigliari non capivano. I nonni, in buona fede, facevano paragoni con gli altri nipoti, sdrammatizzavano, dicevano che era timidezza o maleducazione. Durante l’emergenza sanitaria, Leone non voleva fare alcuna telefonata o videochiamata. 

Una volta passata l’emergenza Covid, abbiamo incontrato una nuova pediatra che ci ha presentato AIMUSE. Inizialmente io temporeggiavo, ma quando ho capito che il problema era reale e ho deciso di affrontarlo di petto, la situazione è cambiata. Abbiamo seguito una terapia cognitiva comportamentale e Leone, piano piano, ha iniziato a sbloccarsi. Ricordo che anche io, per aiutarlo e sotto consiglio degli esperti, mi mettevo in ridicolo in alcune situazioni: ero con lui dal fruttivendolo e chiedevo se avesse una lampadina da vendermi. Un modo per farlo sentire più sicuro e indurlo a parlare. Quella volta mi disse: “Mamma, ma qui non vendono lampadine!”.

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Comportamenti strani, di difesa

Ma se la differenza tra timidezza e mutismo è sottile, come è possibile per un genitore o un insegnante coglierla? Maddalena, che oggi ha un ruolo attivo nell’Associazione dove è impegnata a divulgare e a spiegare cos’è il mutismo selettivo, spiega: “Il bambino timido con il tempo riesce a sbloccarsi. Più frequenta delle persone e più entra in confidenza. Chi è affetto da mutismo no: se per esempio ha sete o deve andare in bagno, non riesce ad esprimere il suo bisogno e può accadere che non beva o che faccia pipì addosso”. In generale, vi sono dei piccoli campanelli d’allarme che permettono di individuare questo disturbo: parlare all’orecchio della mamma davanti un estraneo, non parlare a persone che non si  vedono da tempo, difficoltà a staccarsi dal genitore, oppure non riuscire a esprimere desideri o preferenze. 

Da dove nasce questo disturbo comportamentale? “Non vi sono collegamenti particolari con situazioni pregresse. È difficile pensare che un bambino possa soffrire di disturbi d’ansia e agli occhi degli altri può sembrare che sia maleducato. Eppure, un bimbo affetto da mutismo selettivo arriva a paralizzarsi e, molto spesso, adotta comportamenti all’apparenza strani per non parlare. Per lui è una forma di difesa. Leone molte volte rispondeva alle domande con i versi degli animali anziché parlare”.

L’importanza di muoversi per tempo

Parlare con esperti e intervenire è stato di grande aiuto. “È importante intervenire precocemente, altrimenti questo disturbo peggiora poiché viene interiorizzato. Se trattato, ha una capacità di remissione dell’88%. Leone già in prima elementare leggeva benissimo e a voce alta, però negli ultimi mesi dell’anno aveva smesso di farlo e mi diceva: “A settembre, riprendo”. Il ruolo delle sue maestre è stato, ed è tuttora, fondamentale”.

Leone oggi è un bambino consapevole del suo percorso. “A volte riesce a reagire, per esempio viene con me dal dottore e parla, altre volte no. È sereno, ha una vita relazionale e sociale normale. Con i bambini che non conosce fatica a parlare, ma piano piano riesce a sbloccarsi; il problema maggiore è con gli adulti. Il silenzio rimane però il suo luogo sicuro. Se è arrabbiato, stressato, per esempio, non parla. Con noi, però, a volte scrive e insieme abbiamo trovato delle modalità per affrontare il suo disturbo”.

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