Rinuncio al mantenimento

da | 1 Ago, 2013 | Lifestyle, Soldi e Diritti

Gentile avvocato, da cinque anni mi sono allontanata dal mio ex marito, a causa dei suoi comportamenti violenti e irrispettosi. Nei primi tempi mi sono occupata da sola delle bambine, senza alcun aiuto da parte sua, neanche economico, nonostante mi trovassi in difficoltà, poi, costretta dagli eventi, mi sono rivolta a un legale per ufficializzare la separazione. Lui ha frequentato diverse donne e convissuto con due. Ha le bambine un weekend ogni due settimane e gli ho chiesto di tenerle lontane da questo suo balletto amoroso, invano. La sentenza del giudice gli impone di versarmi 250 euro mensili per le bambine, spese mediche, scolastiche e sportive condivise: ho ricevuto per pochi mesi il mantenimento, le mie richieste sono sempre seguite da insulti, inesistente il suo aiuto nelle spese extra. Da quando ho un nuovo compagno (con cui convivo da un anno), il mio ex si è sentito esonerato dai suoi doveri di padre e si aggrappa a ogni scusa pur di non dare denaro. Eppure sull’Isee e sul 730 devo dichiarare un mantenimento che non percepisco. Sono stufa: voglio che mi venga tolto il mantenimento, specificando che pur avendone bisogno ci rinuncio per la nostra dignità e serenità. Infine, le mie figlie portano il suo cognome, ma vorrei avessero anche il mio.

Cara lettrice, innumerevoli sono i casi in cui, pronunciata la separazione, uno dei genitori inizia una nuova vita, magari con una nuova famiglia, dimenticandosi di quella precedente. e chi ne soffre di più, inevitabilmente, sono i figli. Tanto per cominciare, se suo marito non versa il contributo stabilito dal giudice, potrà rivolgersi all’avvocato per portare a esecuzione l’omologa. E ricordi bene: il fatto che lei convive con un altro uomo non autorizza suo marito a sentirsi esonerato dall’obbligo di provvedere alle proprie figlie! Proseguendo, la legge stabilisce che anche in caso di separazione dei genitori il figlio minore ha il diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi. Lei, adducendo fatti significativi dimostrabili, ha diritto di chiedere la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento, dell’attribuzione dell’esercizio della potestà e delle disposizioni relative al contributo. Dovrà rivolgersi al tribunale che ha pronunciato la separazione. Potrà ricorrere al giudice affinché pronunci la decadenza di suo marito dalla potestà genitoriale: in questo caso è necessario che la condotta del padre abbia cagionato un grave pregiudizio alle bambine. Il giudice accerterà l’incapacità di suo marito di assumere decisioni nell’interesse delle figlie, ma ciò non comporterà l’interruzione dei rapporti con lei né l’interruzione dell’obbligo di mantenimento della prole. Infine, la Suprema Corte ha stabilito che il diritto al cognome è inviolabile: è da escludere che tale diritto del minore possa essere influenzato direttamente da valutazioni sul comportamento del genitore. In altre parole, il fatto che un padre sia assente o negligente nei confronti dei figli non basta per rinunciare al cognome paterno e portare solo quello materno. Riporto un estratto del Codice Penale sulla violazione degli obblighi di assistenza familiare: “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale della famiglia, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con una multa”. Spetta a lei stabilire quale tra queste opzioni si avvicini maggiormente all’interesse delle bambine, la cosa più importante.

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