Cosa cambierebbe se invece di buttare proviamo a riparare i giocattoli rotti assieme ai nostri figli? Molte cose, a quanto pare
Viviamo nell’epoca dell’usa e getta perché ci hanno insegnato che buttare e ricomprare è più facile che aggiustare. Anche i giocattoli sono entrati in questo ciclo e quando si rompono non ci passa mai per la testa di riaggiustarli. L’aquilone, che tiriamo fuori una volta l’anno, ha l’asticella spezzata. La macchina telecomandata non riceve più segnale. Il libro parlante non parla più. Il peluche si è scucito e svuotato. Buttiamo via il giocattolo rotto e compriamone uno nuovo!
Buttare è una scelta
Gettare via è una scelta. Possiamo farlo, ma anche no, consapevoli che il gesto non si limita al futuro del giocattolo rotto, ma si espande, incredibilmente, al futuro dei nostri figli.
Quando eravamo noi bambini ci comportavamo diversamente. Lungi dal voler affermare, in modo superficiale, che “le cose una volta erano meglio”, c’è da dire che alcuni comportamenti ci rendevano più virtuosi.
Sono pochi quelli di noi che non ricordano un adulto, che sia mamma, papà, nonna o zio, intenti a smontare una sveglia o un orologio. C’era sempre un anziano che dedicava un po’ di tempo a creare o riparare. Mio padre diceva sempre: con lo scotch da pacchi si risolve ogni problema. E non era una battuta: ho ancora un Cicciobello riparato con il suo robustissimo nastro americano.
L’età dei perché
Una ricerca effettuata alla Burt Ellison University nel Sud Dakota (USA) ha evidenziato che la famosa “età dei perché” si è ridotta fino a dimezzarsi. I bambini smettono precocemente di domandare agli adulti come funziona il mondo. Persino la quantità delle domande quotidiane si è ridotta, e non di poco: siamo al 74% in meno.
C’è una relazione col riparare giocattoli rotti? Almeno una, pare. Secondo gli esperti, l’impossibilità di capire i meccanismi che regolano il funzionamento di gran parte degli oggetti e dei sistemi che ci circonda, genera una continua frustrazione della curiosità. Questa stessa frustrazione porta i bambini, ma anche noi adulti, a non incuriosirsi più, a pensare che “è troppo complicato”, oppure che “l’importante è che funzioni”.
Insomma, i dati ci dicono che i bambini sono meno curiosi, non perché siano cambiati i bambini, ma perché mancano le occasioni per incentivare e stimolare la comprensione di quei meccanismi, anche semplici, che possono portare un aquilone con l’ala spezzata a volare di nuovo.
Riparare e farsi guardare
Guardare una persona che lavora è come lavorare. I neuroni specchio del cervello entrano in funzione allo stesso modo sia quando vedono le mani di qualcuno che usa un cacciavite, sia quando usano davvero un cacciavite.
Osservare è un modo per espandere le capacità cerebrali. Per questo riparare un oggetto di fronte a un bambino è prezioso, persino più prezioso che portare un bambino a un laboratorio di creatività.
I bambini sono naturalmente curiosi. Il loro approccio alla vita è quello di una mente aperta che sperimenta per la prima volta ogni esperienza (Ehi, sono foglie! Ehi, cadono dagli alberi! Ehi, scricchiolano se ci cammino sopra!). Fornire il maggior numero di esperienze, compresa quella di osservare una persona che lavora, è il miglior stimolo che possiamo offrire alla loro crescita mentale.
Inoltre l’uso ingegnoso di piccole strategie, che funzionino da esempio, spinge a osservare e replicare, ma anche a provare e fallire. Capire che i tentativi ripetuti (e gli stessi fallimenti) sono necessari per arrivare alla comprensione di un sistema, è una lezione importantissima.
La cura del giocattolo rotto
Si intitola Broken toys (giocattoli rotti) un cortometraggio Walt Disney del 1935 che anticipa la trama di Toy Story, la serie di film di animazione dell’infallibile Pixar che racconta l’attaccamento dei giocattoli ai bambini (e non l’incontrario). Entrambi i cartoni ci mandano un messaggio: gli oggetti che appartengono ai nostri figli sono importanti.
E poi c’è la Dottoressa Peluche dell’Ospedale dei Giocattoli, che ricorda che possono passare anni e generazioni, ma l’importanza dei giochi nella vita dei bambini, in termini affettivi, è immensa.
Un giocattolaio esperto ci disse una volta: “Non buttate mai i giocattoli preferiti dei vostri figli. Teneteli da parte, custoditeli per il loro futuro. L’emozione di poter toccare di nuovo il giocattolo amato, a venti, trenta, cinquant’anni, sarà fortissima. L’idea che un nipote o un bisnipote possa avere tra le mani non solo un giocattolo di antica fattura, ma anche un oggetto così carico di emozioni, dovrebbe renderci lungimiranti sull’importanza di non gettare mai”.
Avere cura dei giocattoli significa dedicare loro del tempo. Tenerli puliti, ordinati. Fare piccola manutenzione, come il cambio di batterie, oliare la catena della bicicletta, stringere un bullone, cucire a mano l’orecchio sgualcito del peluche.
La modalità di cura
Quello che possiamo aggiungere è che queste attività andrebbero fatte assieme ai figli. Riparare ci dà l’opportunità di passare dalla “modalità consumatori” alla “modalità di cura”. La cura ci insegna che gli oggetti (ma anche le relazioni, i sentimenti, gli affetti) non ci appartengono. Che non si parla e non si vive solo qui e ora, oggi, ma anche domani. Si impara che la durata delle cose (ma anche delle relazioni, dei sentimenti, degli affetti) è relazionata al modo in cui le usiamo. Avete letto quel bel libro che si intitola, non a caso, “La manutenzione degli affetti” dello scrittore Antonio Pascale?
La sostenibilità
Dunque quello che cerchiamo di trasmettere è che gli oggetti invecchiano e si consumano, ma se tengo a qualcosa, posso averne una cura speciale. Posso farla durare nel tempo. Non è necessario buttarla via e comprarla di nuovo.
Torniamo al nostro giocattolo rotto. Se lo aggiusto, sarà prima di tutto un oggetto che non si butta. Come non fare almeno un tentativo? Se non ci riusciamo da soli, possiamo farci aiutare. Un nonno che magari ha un garage degli attrezzi, oppure un tuttofare esperto. Quest’ultima opzione non è semplice, perché gli aggiustatutto sono pochi e molte case produttrici tendono a non distribuire pezzi di ricambio, anche se l’Unione Europea sta facendo leggi ad hoc per evitare l’obsolescenza programmata.
Se riusciamo a fare la riparazione assieme al bambino, il giocattolo oltre a non essere un rifiuto in più su questa Terra, sarà qualcosa di cui ci siamo presi cura. Un amico che abbiamo salvato, che ha voluto rimanere con noi. Un affetto che non butteremo via.
Leggi anche —> Giochi da viaggio: i progetti “do it yourself” per intrattenere i bambini