“In fondo al mar… in fondo al mar! La vita è ricca di bollicine”. La riconoscete? Bastano pochi versi per ricordare la canzone più famosa della Sirenetta Disney. La cantava il granchio Sebastian ad Ariel, la bellissima principessa del Regno del Mare, “sospesa” tra due mondi, il suo e la terraferma. Ad alimentare la sua voglia di conoscere, di cambiare nonostante le difficoltà, sono l’amore, la curiosità, il desiderio di scoprire. Ariel non vuole conquistare, vuole esplorare il mondo, anzi “i” mondi: vuole farne parte e sentirsi accettata. Come tutti i bambini. L’attività mini subacquea si sposa perfettamente con tutto questo, però in direzione opposta rispetto alla Sirenetta, che in acqua proprio non ci voleva stare. Il sub è “lo sport dell’esplorazione di un mondo sommerso che non ci appartiene e che dobbiamo imparare a rispettare”. Lo dice Giovanni Bergamasco, presidente dell’Eridania Sub, società per l’insegnamento delle attività subacquee che, insieme a Daniele Calia, l’attuale responsabile dell’attività in seno all’Eridania Sub, ci ha aiutato a conoscere meglio questa disciplina e a capire perché farla praticare ai nostri figli.
Bisogna saper nuotare per fare il sub? “Dal punto di vista normativo, l’attività subacquea ARA, ovvero con gli AutoRespiratori Aria, cioè con uso di bombole di aria compressa, si comincia a 8 anni, mentre quella di apnea può partire a 6. Tuttavia l’età evolutiva non consente di utilizzare il parametro anagrafico come termine di confronto assoluto: possiamo facilmente trovare bambini di 8 anni più portati di altri che ne hanno 10. Quindi, se da una parte non portiamo con le bombole bambini sotto il limite inferiore, dall’altra cerchiamo di valutare caso per caso, consigliando di fare uno o due anni di apnea, anche solo a scopo propedeutico. La sicurezza viene prima di tutto, i limiti fissati dalla Federazione sono tali da minimizzare i pericoli che oggettivamente esistono nella subacquea in generale. Saper nuotare è un ottimo punto di partenza, ma abbiamo allievi con capacità natatorie veramente minime che strada facendo sviluppano un’ottima acquaticità”.
E la paura dell’acqua? “Fortunatamente chi si avvicina alla subacquea, soprattutto in giovane età, ha una volontà straordinaria e una carica motivazionale altissima. È compito nostro far sì che questi timori non compaiano o non si sviluppino lungo il percorso, facendo crescere l’autostima. I corsi alternano giochi ad attività didattiche e prevedono una lezione di teoria di circa 30 minuti e attività di un’ora in vasca, una volta la settimana. Non esiste un programma vero e proprio, ma delle linee guida codificate dalla Federazione. Alla base c’è un approccio ludico finalizzato allo sviluppo dell’autocontrollo, alla coordinazione del proprio corpo in acqua, a un minimo di disciplina e ordine, soprattutto nella gestione dell’attrezzatura, e al rispetto delle regole”.
D’inverno si può praticare? “Noi svolgiamo l’attività in piscina da ottobre a giugno, mentre quella al mare avviene generalmente in due weekend tra fine maggio e metà giugno. Il periodo di piscina invernale può essere considerato come attività propedeutica alle uscite in mare”.
Favorisce la socializzazione? “Assolutamente sì. Nella subacquea, sia in apnea che con uso di bombole, la sicurezza ha come punto fondamentale il rapporto di coppia. Non si esce mai in mare da soli! Quindi insegniamo agli allievi a comunicare con il compagno e fare azione di controllo reciproco. I giochi sono impostati per lavorare in gruppo. Inoltre è uno sport per tutti. In acqua la differenza di genere non ha rilevanza, quindi bambini e bambine possono divertirsi alla pari. Stesso discorso riguarda l’età. Spesso in sport agonistici, come nuoto o tuffi, a 8 anni si è già considerati ‘vecchi’. Da un punto di vista educativo, penso si debba far prevalere i valori rispetto all’agonismo. Nel contempo non dobbiamo pensare che l’attività subacquea sia uno sport per ‘non agonisti a tutti i costi’. Molti bambini con capacità atletiche non indifferenti si iscrivono con grande curiosità e motivazione. Il confronto con gli altri compagni offre l’occasione di scoprire il piacere dell’altruismo, dell’essere di aiuto o di esempio; al tempo stesso l’allievo più in difficoltà, rassicurato dalla mano protesa del compagno, è stimolato a compiere esercizi o attività in cui non avrebbe mai pensato di riuscire”.
[Tatiana Zarik]