Gennaio, per i neogenitori, è un mese di riflessione. Si apre la corsa al nido e si cominciano a cercare informazioni sulle opportunità, sui servizi disponibili, sulla possibilità di entrare nelle strutture pubbliche e private. Contestualmente nascono i primi grandi dubbi. Meglio il nido, i nonni o la baby sitter? Visti i costi, val la pena di lasciare il lavoro per dedicarsi ai figli? L’Italia è il primo paese nella classifica delle donne occupate che lasciano il lavoro dopo una gravidanza: lo fa una neomamma su quattro, praticamente una strage, in un panorama dove l’occupazione femminile è già una risorsa scarsa. D’altro canto è vero che il nido e la tata portano via una fetta consistente di budget familiare. Non tutti hanno i nonni a disposizione e non è detto che i nonni siano sempre e comunque la soluzione migliore. Come decidere? Talvolta la scelta è obbligata ed è condizionata dal ritorno al lavoro. Talvolta ci si può permettere di temporeggiare. In ogni caso, la risposta giusta per tutti non esiste. L’unico consiglio che si può dare – e che conviene seguire – è di rispettare la propria sensibilità e la conoscenza che soltanto un genitore ha del suo bambino.
Nonni o tata?
I nonni garantiscono amore e flessibilità. Nella loro casa non ci sono problemi di inserimento e adattamento, i bambini li hanno frequentati fin da piccolissimi. La spesa di accudimento è ridotta e sono sempre disponibili, anche in caso di malattia. Tuttavia spesso con i nonni emergono conflitti, soprattutto per i modelli educativi, e non sempre si affida volentieri il proprio erede ai genitori del partner, per cui la scelta può risultare più conflittuale del previsto. La baby sitter offre molti vantaggi: rispetta i tempi individuali, ha orari flessibili, permette la vita nell’ambiente domestico. In più con lei non dovrebbero esserci problemi sui modelli educativi. Il dato negativo è che costa parecchio, richiede una certa dose di fiducia, va selezionata con cura e non garantisce la giusta socialità per i bambini più grandicelli.
L’asilo nido
Al nido i bambini vengono accuditi da personale specializzato, vivono una giornata ben strutturata, hanno regole precise, molti stimoli, più materiale ludico e più possibilità di movimento della propria abitazione. La vita di gruppo può piacere o non piacere: ci sono bambini che la apprezzano subito e altri, più timidi, che non sempre si sentono a proprio agio. Per alcuni bambini occorre mettere in conto la necessità di un lungo periodo di inserimento che si dovrà fare tra settembre e ottobre dell’anno successivo all’iscrizione. Questo periodo va programmato con permessi sul lavoro, ferie e molta flessibilità. Ugualmente – e soprattutto nei primi mesi – i bambini che frequentano il nido tendono ad ammalarsi delle tipiche malattie comunitarie: influenze, raffreddori e mal di pancia, per cui bisogna organizzarsi per eventuali emergenze. Neppure esiste l’età giusta per l’inserimento al nido. Possono frequentare i bambini dai tre mesi ai tre anni, ma al momento dell’iscrizione entrano in gioco tanti fattori, alcuni dei quali oggettivi (come il lavoro dei genitori e la condizione finanziaria), altri soggettivi, come la propensione alla socialità del bambino, lo stadio dello svezzamento, la salute. In generale, intorno ai due anni tutti i bambini cominciano a cercare i primi “amichetti” con cui giocare. L’ambiente comunitario sarebbe anche propedeutico allo sviluppo. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Child Development, i bimbi che frequentano il nido e che vengono coinvolti dalle educatrici in attività di lettura e nello sviluppo di attività motorie, fanno più progressi nel linguaggio e nelle abilità matematiche di quelli che rimangono a casa e si dedicano prevalentemente al gioco libero. Non che il gioco libero vada ridotto, al contrario. Come al solito, bisogna sforzarsi per offrire il giusto mix di socialità e tranquillità, presenza di adulti e bambini, attività strutturate e momenti di libertà.
Pubblico o privato?
La scelta della struttura a cui affidare il proprio bambino è importante e deve tenere conto di numerosissimi fattori. Torino e dintorni sono territori in cui l’offerta di servizi per l’infanzia è sempre stata buona, ma non c’è la garanzia di trovare un posto al nido (pubblico o privato) per tutti i bambini. Tocca ai genitori informarsi e scegliere, affidandosi spesso al passaparola con gli altri genitori che conoscono e hanno frequentato le diverse strutture. Una volta individuati i possibili punti di riferimento, bisogna informarsi e partecipare alle giornate aperte, unici momenti in cui le scuole mostrano le proprie strutture ai genitori (questo non vale per i nidi privati, che per ovvie ragioni sono più disponibili a rispondere alle esigenze dei genitori). Ai nidi pubblici si accede per graduatoria e si può scegliere tra frequenza a tempo pieno o a tempo breve. Un servizio misto pubblico-privato è offerto dai “Nidi in concessione” servizi per l’infanzia che la Città ha affidato a strutture private e sociali, tipicamente cooperative, che garantiscono i criteri pedagogici fissati dal Comune e hanno tariffe agevolate per le famiglie. Il servizio offerto dai nidi privati è sempre strettamente regolamentato e garantisce altissimi livelli di assistenza e accoglienza, ma è più libero nell’offerta, ha orari più flessibili, formule aperte alle esigenze delle famiglie e introduce molte novità, come i nidi in lingua straniera, quelli specializzati nella musica e quelli con approcci educativi alternativi.
I consigli delle educatrici
Come si fa a scegliere il nido giusto? “Consiglio sempre ai genitori di privilegiare la sensazione di accoglienza che una struttura trasmette – spiega Erika Fiore di Bimboporto -. L’asilo che state visitando deve essere trasparente e nulla va tenuto nascosto. Si devono poter guardare gli spazi in cui vivrà il bambino, si deve contare il rapporto numerico con le educatrici, si deve osservare la programmazione didattica e la divisione in fasce di età. Se tutto quel che si vede è soddisfacente, la vera differenza tra una struttura e l’altra sta nella capacità di accogliere. Quando i genitori si sentono benvenuti, altrettanto percepiscono i bambini”.
“Certo, un nido deve avere uno standard di qualità elevato e se possibile certificato – dice Letizia Sardo, responsabile pedagogica della divisione infanzia della Cooperativa Ass.i.s.te -, ma se devo consigliare qualcosa a cui prestare attenzione direi: la capacità delle educatrici di ascoltare senza giudizio. Il nido deve sapersi porre all’ascolto della famiglia e soprattutto del bambino, di ciò che è importante per lui, per il suo benessere fisico e psichico. Bene dunque se è un ambiente ricco di stimoli, se si lavora nel rispetto di un percorso comune, ma non si devono imporre progetti e obiettivi collettivi, perché ogni bambino va visto come individuo unico, un microcosmo a sé. Se trovate questa attenzione, avete scelto il nido giusto”. “Pensiamo anche alla sicurezza – continua Chiara Ghirardi del Micronido Pippi -. Il nido deve rassicurare il bambino e i genitori. L’educatrice deve accogliere, osservare, dare affetto, proporre (e non imporre) sane e buone regole. Ai genitori vanno garantiti colloqui giornalieri e momenti in cui parlarsi spontaneamente, senza timore di esprimere quel che si sente o quello di cui si ha bisogno. Attraverso questa sicurezza, che viene trasmessa al bambino, si sviluppa la sua autonomia”. “Il benessere del bambino viene prima di tutto – conclude Emilia Cambursano dell’Agriasilo La Piemontesina -. Pensiamo alla loro salute, controlliamo che i bambini escano e vivano all’aria aperta, abituandosi alle diverse temperature e ai diversi gradi di umidità. Uscire riduce (al contrario di quel che si pensa) il rischio di prendere malattie di comunità, come l’influenza o il raffreddore, migliora l’umore, permette di fare esperienza e di crescere sani e felici”.
Torino: cambia l’Isee nei nidi
Dal 2013 nei nidi comunali l’Isee sarà sostituito da un nuovo indicatore, l’Isec, che terrà conto del reddito di entrambi i genitori anche se non risultano conviventi dallo stato di famiglia. Lo ha deciso la Giunta comunale. Il motivo del cambiamento va cercato nelle tariffe agevolate richieste dai genitori che pur essendo conviventi non si dichiarano tali all’anagrafe. Considerando il solo servizio dei nidi d’infanzia, i genitori single torinesi sono 603 su un totale di 3582 famiglie che presentano l’Isee, ovvero circa il 17%. Per non penalizzare le mamme o i papà effettivamente rimasti soli, l’Isec non si applicherà ai casi di separazione e divorzio o quando l’altro genitore non risulti reperibile, non abbia riconosciuto il figlio o sia negligente nell’assistenza affettiva ed economica.