Sguardo basso, guance rosse e il vano tentativo di sparire in quel preciso istante. Ebbene sì, possiamo essere tutti potenzialmente genitori cringe, perché esistono momenti in cui i nostri figli si provano vergogna per noi
Quel primo giorno di scuola
“Ero molto emozionata all’idea del primo giorno di prima elementare di mia figlia – racconta Anita -. C’è stata la lunga preparazione dello zaino, l’etichettamento ossessivo di tutte le matite, il rivestimento di ogni libro. Il passaggio dalla scuola dell’infanzia a quella primaria è un grande salto, l’incontro con maestre meno coccolose, con i compiti e i primi voti. Mia figlia, al momento di entrare, è scivolata via per l’ansia di entrare in ritardo. All’uscita mi sono ritrovata davanti al cancello un quarto d’ora prima della campanella.
Quando ho visto la maestra uscire con dietro diciannove bambini in fila indiana, mi sono avvicinata un po’ al cancello e appena ho intravisto mia figlia, con quello zaino immenso e la mascherina con gli squali, ho iniziato a sbracciarmi e saltellare per farmi vedere. Forse ero anche condizionata dai ricordi di mio marito, che racconta sempre del senso di abbandono che provava quando non vedeva suo padre, perennemente in ritardo, all’uscita da scuola.
Al suo turno di uscita, ho di nuovo fatto cenno alla maestra con le braccia, l’ho aspettata e accolta, per alleggerirla dallo zaino e provare ad abbracciarla. “Mamma – mi ha detto congelandomi con lo sguardo – ti vedo anche se non fai tutto quel casino, eh”. E con gli occhi bassi è andata verso la macchina. Il suo primo ricordo di scuola? mi sono vergognata tanto di mia mamma”.
Quei genitori trasandati
“Mi sento quasi stupida a parlare di questo mio problema, ma è davvero così che lo percepisco – si confida Marinella, sedicenne di Piacenza. – Il fatto è che non riesco mai a invitare nessuno dei miei amici a casa, tantomeno il mio ragazzo, e se me lo chiedono rimando sempre. Perché? Ho una casa a due piani, enorme, che potrebbe essere davvero bella e accogliente, se soltanto i miei genitori riuscissero a sistemarla e renderla per lo meno decorosa.
Non sto dicendo di fare chissà quali spese o lavori, ma in alcune stanze la carta da parati è rovinata, ci sono mobili vecchi e cianfrusaglie sparpagliate dappertutto”.
“Per esempio – continua scaldandosi sempre di più – abbiamo un cane e sta sempre sul divano. Ha rovinato il copridivano, è tutto strappato, e per i miei genitori va bene così. Lo scorso anno abbiamo dato il bianco in cucina. Mio fratello e io li abbiamo aiutati, anzi abbiamo fatto tutto noi e con meno di cinquanta euro abbiamo rinfrescato quella stanza.
Vorrei fare così in tutta casa, ma a loro sembra non importare nulla. Insomma, come faccio a invitare qualcuno se poi non oso farlo sedere sul divano perché fa schifo?
Il punto è che a loro non importa nulla dell’estetica e la cosa più triste è che vale anche per il loro aspetto. Non ne hanno cura, non si vestono mai in modo carino, nemmeno quando escono o quando viene gente. Mia mamma indossa le mie cose usate, quando le scarto. Quando posso le compro io qualcosa.
Ma davvero ci devo pensare io? E che vergogna quando i parenti vengono a casa: lo vedo persino io che la guardano male. No, non è una questione di soldi, è proprio attenzione. Ormai credo che risolverò la cosa solo andandomene da casa”.
Ma come ti vesti!
“Io, lo giuro, sono per la massima libertà d’espressione. Cerco di rispettare tutti i gusti, ogni parere. Però, ecco, quando la donna libera, molto libera, in questione è tua madre, devo dire che faccio un po’ di fatica”. Giulia ha quasi la maggiore età e una mamma molto giovanile.
“Mia madre ha senz’altro molto stile. Si cura, va in palestra, è super-accessoriata, le piace stare e sentirsi bene. Me lo ha pure passato come valore, se così vogliamo chiamarlo. Però a volte – ammette quasi sentendosi in difficoltà nel dirlo – la trovo un po’ fuori luogo. Si veste con abiti acquistati nei reparti di abbigliamento per teenager, piena di brillantini, trucco marcato, tacchi importanti.
Si fa osservare e questo non mi fa piacere. Alle riunioni di classe lei arriva vestita come se stesse andando a un evento mondano, agli incontri su Zoom sceglie accessori o sfondi che siano ben in vista. Boh, a volte preferirei una mamma meno appariscente”.
La speranza di un genitore sobrio non vale solo per le donne. “Mio padre è la barzelletta di tutto il paese – dice Giacomo, tredicenne di un piccolo paese della Val Varaita -. “Non che non sia apprezzato, però in estate gira sempre in infradito rosa o con le ciabatte di plastica con il pelo.
Ha una collezione di camicie hawaiane dai colori più improbabili e il cerchietto per tenere indietro i capelli. Lui e il suo motorino verde fluo sono inconfondibili. Gira per il paese e va a fare commissioni canticchiando o fischiettando. Non è un caso se io son sempre vestito di nero o, al massimo, di marrone”.
I commenti di mio padre
C’è la vergogna virtuale, in un mondo perennemente in rete dove contano i like, le condivisioni e le amicizie comuni. “Niente, non lo sopporto più, tanto che probabilmente eliminerò tutti i miei account social. Anche se forse dovrebbe farlo lui”.
Rosy parla di suo padre. Lei ha 14 anni e lui una quarantina abbondante. Separato e scapolone impenitente. “Ogni volta che apro la mia pagina ho la notifica di un commento di mio padre e quasi sempre scopro che ha fatto apprezzamenti sotto una foto di una donna o di una VIP. Non è volgare, per carità, ma non si risparmia mai un like, un cuoricino o una frase di cortesia e approvazione.
Io mi vergogno, dai, anche perchè così come me, lo leggono pure le mie amiche e i miei amici e non oso immaginare cosa possano pensare. Ho provato a dirgli più volte che la cosa mi mette molto in imbarazzo, ma mi risponde con una pacca sulla spalla, mi dice di non fare la bacchettona e si fa una grande risata”.
Hai fatto la pipì?
“C’è un ricordo della mia infanzia, che ho vivo nella memoria”. Parla Massimiliano, classe ’83, neopapà. “Da piccolo facevo basket e avevamo una bella squadra, eravamo tutti amici, anche compagni di scuola. Le famiglie si conoscevano e passavamo lunghe giornate sul campo per i tornei o per le trasferte che somigliavano a gite più che a eventi sportivi.
Alla partita e al risultato ci tenevamo, ma con gli anni è subentrata anche la dimensione di socialità e scambio. Conoscevamo le squadre femminili e i tornei erano un appuntamento fisso anche per ritrovare quelle ragazzine.
Ecco, bene, c’era un momento di cui avevo più timore che dei canestri mancati.
Dopo il riscaldamento, l’arbitro fischiava per richiamare le squadre in campo e a quel punto sempre, ma dico sempre, sentivo la voce di mia madre da fuori campo che urlava: “Maaaasssy, hai fatto la pipì??”.
Che vergogna! E lo faceva ogni volta, anche quando ero più grande, anche con le femmine che ci guardavano dalla panchina. Oppure mi diceva: non correre che sudi. Ma dai..! Ho ancora i brividi se penso alle sue urla”.
Sono due vecchi
“Ho diciassette anni e mi vergogno dei miei genitori – racconta Andrea. “Perché? Perchè sono vecchi. Lo so che dovrei vergognarmi io a pensare una cosa del genere, eppure cerco di evitare che i miei amici li incontrino proprio perchè mi mettono in imbarazzo. Sono abbastanza avanti con l’età, in effetti, hanno 57 anni. Si sono sposati tardi e avuto tardi sia mia sorella, che ha 19 anni, che me. Il punto è che quando è uscito l’argomento e i miei amici mi hanno chiesto, io ho sempre mentito.
Gli ho dato 7 anni in meno: i miei amici d’altronde hanno genitori che neanche arrivano alla quarantina. Finora ho sempre cercato di evitare situazioni comuni: oltretutto i miei sono pure introversi, quindi manco ci provano a propormi di invitare amici. A breve però ci sarà la festa dei diciotto anni di mio cugino, che viene in classe con me.
Lui inviterà tutta la classe, i nostri amici comuni e anche i parenti. Per la festa e per mangiare sono abbastanza tranquillo. Ma ho il terrore del momento delle foto, perché a quel punto mi chiederanno di mettermi vicino ai miei e io somiglio pure tantissimo a mio padre. Non so proprio che fare, perchè sarà evidente la sua età reale e le mie bugie di questi anni”.
Sta sempre a far polemica
“Non lo sa, non lo capisce, proprio non se ne accorge – racconta Emanuela, 14 anni -. Ma mio padre è veramente uno spesso. Sta sempre a cavillare, fa un sacco di polemiche inutili. Se camminiamo per strada finisce immancabilmente per insultare qualcuno perché va troppo veloce in auto, perché fa rumore o non si ferma alle strisce.
Se siamo in vacanza c’è da argomentare con tutti. Al ristorante rimanda indietro i piatti. Una volta, all’anagrafe, stavamo rinnovando la mia carta di identità e si è messo a litigare con l’impiegata, che poveretta non c’entrava niente.
Sarei voluta sprofondare. Il peggio succede però alle riunioni di classe. Lui non sa che anche noi studenti le seguiamo, commentando nella nostra chat e che lo sfottono tutti. Quando prende la parola vorrei che saltasse la corrente in tutta la città.”
Il bacio liberatorio
“Mia figlia e io amiamo i baci” confida Catia. “Soprattutto quando era piccola passavamo ore a farci le coccole. Con l’inizio della scuola le nostre manifestazioni d’affetto sono diventate più rare, soprattutto in pubblico o davanti agli amici.
Però c’è un episodio che ricordo con un sorriso. All’uscita da scuola ero sempre io che la andavo a prendere. E nonostante le resistenze, perchè sembrava quasi che fosse una regola “da grandi” quella di non abbracciare i genitori, mia figlia veniva e mi dava un bacio, timidamente.
Beh, il suo è stato un bacio liberatorio a quanto pare; liberatorio per le altre bambine e gli altri bambini. Guardando lei, hanno smesso di provare vergogna e hanno ricominciato anche loro a baciare le mamme e i papà!”.