Lungo le strade d’ingresso di numerosi Comuni
d’Italia, del Piemonte e anche della zona di Torino campeggiano cartelli stradali con la frase “Transito consentito unicamente ai veicoli ecologici”. Fatta salva la buona fede dei pubblici amministratori, chiunque avesse tempo di ragionare un attimo prima di oltrepassare il cartello dovrebbe – se avesse almeno un po’ di paura di prendersi una multa – fermarsi. È ovvio che in questo caso “veicoli ecologici” significa “veicoli che ottemperano alle norme di legge relative all’inquinamento dei veicoli a motore applicate all’interno di questo comune”, il che se non altro sarebbe un po’ troppo lungo da leggere in corsa. Ma è altrettanto vero che i “veicoli ecologici” non esistono. Qualsiasi veicolo a motore quando si muove inquina almeno un po’. Anche i veicoli elettrici, per quanto non emettano gas di scarico, utilizzano energia che è stata prodotta altrove. È vero che esistono veicoli elettrici che funzionano attraverso fonti naturali come l’energia solare. È altrettanto vero, però, che anche questi veicoli inquinano. Inquinano anche se restano fermi e anche se non vengono mai utilizzati.
Come è possibile? La risposta è semplice e vale non solo per le automobili ma per qualsiasi bene utilizzato. Produrre beni, che siano materiali come le automobili o immateriali come un software, un sito web o anche un concetto o un’idea, richiede l’utilizzo di energia e materia, tutte cose (per dir così) che a usarle inquinano. Il padre fondatore dell’economia liberista, Milton Friedman, ha scritto un libro intitolato “Nessun pasto è gratis”. Lungi dal sostenere le sue teorie, il titolo può essere utilizzato per ricordarci che qualsiasi cosa utilizziamo ha un costo per il pianeta. La terra è un sistema chiuso (checché ne pensino i liberisti) e le sue risorse sono giocoforza limitate. Questo comporta che, ogni volta che facciamo, acquistiamo, utilizziamo “qualcosa” dobbiamo (o almeno dovremmo) pensare al suo effetto non solo in termini immediati, ma anche in quelli del suo intero ciclo di vita. Anche una bicicletta inquina (sicuramente meno di un Suv) e non a causa del fiatone del ciclista. Per produrre una bicicletta servono materiali (metallo, plastiche) ed energie: il metallo deve essere estratto, trasportato, raffinato, fuso, stampato, la plastica deriva dal petrolio (con tutto quel che ne consegue) e deve essere prodotta e trattata anch’essa. Di tutto questo sarebbe bene tener conto la prossima volta che stiamo per comprare una nuova bicicletta, in sostituzione di quella vecchia che funziona perfettamente ma ha qualche punto di ruggine qua e là. La nuova bici ci farà sembrare ecologisti più “à la page”, ma non avrà un impatto positivo sull’equilibrio naturale della Terra. Certo, anche in questo caso il pasto non è gratis. La bicicletta che desideriamo così tanto, ma che per amore di ecologia non abbiamo acquistato, è prodotta e commercializzata da persone che, grazie alla produzione e alla vendita, ricevono il loro guadagno e, insomma, campano. Allora come si fa? Preferiamo la scelta ecologica o permettiamo a chi è impegnato nella catena produttivo-commerciale di sbarcare il lunario fino a domani (o magari dopodomani)? Mai sentenza fu più ardua.
[Ugo Finardi – Chimico, ricercatore CNR]