Non cresciamoli tra lodi sperticate e aspettative irraggiungibili. Educhiamoli al bello di una rassicurante medietà (non potranno che stupirci)
C’è una felice età dell’oro in cui tutti i bambini sono considerati dai loro genitori (e parenti) portatori di autentico genio. L’età dei bambini prodigio, in media, va dai 3 mesi ai sedici anni.
A sentire i racconti mirabolanti dei genitori, parrebbe che asili e scuole siano frequentati solo da piccoli Mozart, giovani Leonardo e Leopardi pronti a sbocciare. Non c’è nessuno che abbia camminato presto come Martina, mai un bismbo ebbe l’eloquenza forbita di Marcello, nessuno sa disegnare con la maestria della treenne Carola.
Poi, anno dopo anno, lo straordinario e precoce talento si rivela simile a quello di tanti coetanei e il campione in erba si ridimensiona a un simpatico qualunquello, come tutti noi.
È così la vita. E va benissimo
Qualcuno diventerà sì il gran fisico quantistico che quell’aggrottar di ciglia dei primi mesi lasciava presagire. Ma la maggior parte crescerà normale e, a ogni anno di vita, perderà un po’ di quella possibile unicità. No, non sarà una campionessa olimpionica di salto in alto, il gran ballerino della Scala, il cyberscrittore del futuro.
È così la vita. E va benissimo. Da persone normali si vive probabilmente molto meglio, tra l’altro. E che noia la continua ricerca della superprestazione, del successo a tutti costi. Però sono due le molestie che noi genitori, nel nostro smodato entusiasmo nei confronti degli eredi, possiamo evitare.
Facciamoci smentire
Per iniziare, vietato ammorbare amici, conoscenti e colleghi con i racconti senza fine delle imprese uniche e straordinarie del figlio. Un po’ di understatement, suvvia.
Proibito altresì incensare il piccolo in ogni momento e per ogni microimpresa. Crescere con la convinzione di essere superdotato e accorgersi, in una presa di coscienza lenta e micidiale, che si è dei pivelloni qualsiasi, non fa bene all’autostima.
È giusto e bello che loro siano l’apogeo dei nostri orizzonti, ma non cresciamoli con l’erronea convinzione di essere il nucleo fulgente dell’universo. Educhiamoli piuttosto al bello di una rassicurante medietà: al piacere di far bene le cose senza voler a tutti costi primeggiare, a collaborare invece di competere, abituandoli fin da piccoli al valore della solidarietà partecipativa. E poi, dopo aver ridimensionato le aspettative rasoterra, non potranno che stupirci per smentirci, come sono soliti fare!