Sono un papà, non un supereroe

Essere uomo e papà oggi: ne abbiamo parlato con Alberto, che ha usufruito dei congedi genitoriali per prendersi cura delle sue due bambine e sta seguendo un percorso di profondo ripensamento della mascolinità

Alberto è compagno di Begoña e papà di Bruna che ha 5 anni e Manuela di 4. Vivono nei dintorni di Barcellona, in un paesino tranquillo vicino alla metropoli. Begoña lavora come psicologa e Alberto insegna in una scuola internazionale. Quando lei è rimasta incinta hanno fatto una scelta non del tutto mainstream in Spagna e addirittura impossibile in Italia: lui ha richiesto il congedo di paternità completo, di 4 mesi, e poi a seguire anche l’allattamento. Lo stesso è avvenuto quando, quindici mesi dopo Bruna è nata la piccola Manuela.

Il congedo lo prendo io

“Begoña in quel periodo stava avviando la sua attività ed era molto impegnata, dopo la gravidanza aveva voglia di tornare a lavorare. Al contrario, io ero un po’ in crisi e ho pensato, perché non restare a casa? Perché non lasciare più spazio alla dimensione della cura nella mia vita? La mattina porto le bambine a scuola e poi faccio la spesa. Begoña nel frattempo è libera di gestire la sua agenda ma abbiamo un patto: alle 8 deve assolutamente staccare e ci ritroviamo tutti a tavola per la cena.

Fin dai primissimi tempi ho notato che quando un uomo si prende cura delle proprie figlie è attraente e interessante, tutti si congratulano con me, se lo fanno le donne nessuno dice niente. Questo è uno dei tanti privilegi dell’essere uomini.

Io stesso all’inizio avevo bisogno di essere riconosciuto per quello che facevo, volevo sentirmi speciale perché cambiavo i pannolini. Pensavo di meritarmi una medaglia per cose che le donne fanno da sempre senza che nessuno lo noti. Andavo al parco con una bimba di quasi 2 anni e una di 6 mesi, intorno a me c’erano quasi solo mamme che venivano a offrirmi aiuto. Mi sono reso conto che se vogliamo cambiare le cose è fondamentale normalizzare questa situazione, non renderla speciale”.

Ripensare la mascolinità

All’esperienza di paternità segue un percorso di ripensamento del concetto di mascolinità.

“Diventare famiglia dopo essere stati coppia è una trasformazione profonda e anche traumatica. Io ero abituato a essere il centro, a essere ascoltato. Il vittimismo è una trappola facile, ma bisogna, prima di tutto, rendersi conto del privilegio dell’essere uomini in un sistema patriarcale.

Così ho iniziato, insieme a un gruppo di uomini, un percorso di riflessione sulla mascolinità. Ripensare gli stereotipi maschili che non ti fanno sentire bene: un uomo viene educato, fin dall’infanzia, a pensare ‘devo essere forte, non posso che essere forte’, ma anche questa è una gabbia.

Durante i 3 anni di percorso, abbiamo riflettuto sulla nostra responsabilità individuale come parte di un sistema da cambiare, sul nostro rapporto con le donne e con il mondo. La parte teorica e di riflessione si accompagna a una pratica. Al vivere le emozioni. Abbiamo imparato ad accettare tutte le emozioni, a non avere paura di contatto fisica e anche a piangere. Io avevo pianto quattro volte in tutta la mia vita, è stata una rivelazione lasciarmi andare”.

Riappropriarsi della tenerezza

“Per un uomo è normale mostrarsi arrabbiato o esplodere di rabbia. A volte mi capitava di esserlo anche in casa e vedevo le mie figlie spaventate. Non mi piaceva il modello di papà che stavo incarnando: grazie agli incontri di gruppo ho iniziato a lavorare su questa conflittualità, sulla rabbia e ho imparato a riappropriarmi della tenerezza e dell’autocompassione. Qualche settimana fa mi è capitato di litigare con Begoña, un litigio tormentato che si è protratto per tre giorni. A un certo punto, un’illuminazione: ho smesso di discutere e mi sono reso conto che avevo fondamentalmente bisogno di sentirmi riconosciuto, di un abbraccio. Spesso gli uomini negano il desiderio forte di essere ascoltati, visti, abbracciati, provano una profonda solitudine”.

Essere papà in Spagna

Le scelte di vita della famiglia sono state favorite dalla legislazione spagnola che è moderna, generosa e paritaria. Il congedo è equiparato per entrambi i genitori ed è di 16 settimane sia per le madri che per i padri, in modo da garantire parità di trattamento e opportunità tra uomini e donne.

E la legislazione si accompagna a un sentire diffuso: “Una parte della nuova generazione di genitori ha fatto un cammino di parità rompendo con una tradizione patriarcale diffusa. In Italia mi accorgo che questo processo va molto più lentamente. Lo scorso anno mi sono ritrovato a Padova con i miei amici dell’Università e ho raccontato loro di essermi sottoposto a vasectomia e di quanto sia stato liberatorio. È un’operazione semplice e veloce, che in Spagna viene proposta regolarmente agli uomini che non vogliono avere più figli. Ma in Italia se ne parla pochissimo e i miei amici erano stupiti della mia scelta. Mi sono chiesto perché”.

Un’opportunità per conoscersi

In che modo sei cambiato da quando sei diventato papà?

“Essere genitore è bellissimo. Una parte fondamentale di me, della mia vita. Sento molto forte il senso di responsabilità nei confronti delle mie bambine. Diventare papà è anche un’opportunità per conoscermi. Stando con Bruna, Manuela e con la mia compagna mi metto maggiormente all’ascolto delle mie emozioni. Cerco di essere più aperto, di sorridere di più. Per me è stato molto difficile imparare ad accettare i miei privilegi come uomo, ma più di tutto è stato difficile imparare a stare zitto. Una mascolinità che ascolta è una mascolinità rilassata”.

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