Negli ultimi venti anni il modo di insegnare matematica è cambiato, per lo più in meglio. I compiti di matematica dei bambini sono una sfida anche per gli adulti
Prima o poi ci tocca. Abbiamo cambiato pannolini, raccolto il cibo sparso per la cucina e poi, dopo un po’ di anni, arrivano la scuola e i compiti a casa. La nostra voglia di aiutare i figli è immutata, ma ci sono alcuni casi in cui sarebbe meglio stare alla larga.
Quali? In generale tutti i compiti: sono un lavoro che riguarda il rapporto tra bambini e insegnanti. Ma più nello specifico, i compiti di matematica hanno non devono essere svolti con l’aiuto dei genitori. Perché?
La fobia della difficoltà
L’Italia non andava bene in matematica, ma da diversi anni sta migliorando. I risultati delle prove OCSE PISA 2018, l’ultima edizione della più estesa indagine internazionale nel campo dell’educazione, mostra che i quindicenni italiani raggiungono un punteggio di 487, in linea con la media OCSE che è 489. Rispetto ai primi test, iniziati nel 2000, la situazione è in costante e progressivo avanzamento.
“Per spiegare perché in Italia le scienze esatte (e la matematica in particolare) sembrano essere più difficili di altre materie – spiega Antonella Giuliani, insegnante – bisogna chiedersi come era il nostro insegnante di matematica. Nella maggior parte dei casi, la nostra generazione ha ricordi di lezioni noiose e di astrusità senza legami con il quotidiano. Questi ricordi si trasmettono e perpetuano, per generazioni, l’idea che la matematica sia una materia brutta, noiosa e difficile”.
Se noi genitori non apprezziamo la matematica, sicuramente non lo faranno i nostri figli. Se è uno scoglio impossibile, diamo ai nostri figli il diritto di non provarci neanche: sappiamo quanto i bambini assorbano le nostre fobie.
Su questo presupposto, due esperti inglesi di didattica della matematica, Rob Eastaway e Mike Askew, hanno scritto un bellissimo manuale dedicato ai genitori. Il titolo è esplicito: “Matematica per mamma e papà: contro lo stress dei compiti a casa” (Salani editore, 14,90 euro).
Metodi migliori
Il manuale comincia con una serie di grandi domande: “Perché oggi spiegano le cose in modo diverso?”, “Come faccio a superare il mio terrore per la matematica?”.
Negli ultimi vent’anni l’insegnamento della matematica nella scuola primaria è cambiato, e per lo più in meglio. I compiti dei figli richiedono nuovi metodi di insegnamento, che non ha nulla in comune con il modello “antico” e meccanico a cui siamo abituati. Oggi i bambini sono portati a ragionare sui motivi per cui si eseguono determinate operazioni, così che ogni passo sia la logica conseguenza dei precedenti.
Questo approccio ci può risultare spaesante, ma non lasciamoci intrappolare da inutili nostalgie. Spesso i metodi che incontriamo sui libri dei nostri figli sono migliori di quello che affrontavamo noi.
Mai crogiolarsi nell’avversione
Eastway e Askew giocano su questo, spiegando cosa imparano i bambini e invitando gli adulti a confrontarsi con i nuovi metodi come sfida costruttiva. Qualche argomento può essere sfasato a causa delle diversità tra i programmi inglesi e quelli italiani, ma la maggior parte delle indicazioni valgono anche per noi, perché riguardano il quotidiano più che i programmi di studio. Ci sono anche storie divertenti, giochi individuali e di gruppo, domande di verifica, trucchi e scorciatoie, vignette.
Facendo eco alle domande iniziali, gli autori offrono qualche consiglio su cosa fare e cosa non fare. Non fare i compiti assieme ai bambini. Non dire mai che siete stati un disastro in matematica e, soprattutto, non crogiolarsi in questa affermazione. Stiamo attenti: non si tratta di mentire, ma di cambiare il nostro atteggiamento per far sì che non si proietti sui figli. Diamo loro il diritto di essere più bravi di noi.
Riflettiamo sul perché i nostri figli devono conoscere la matematica. Tolta l’utilità pratica delle basi, che effettivamente servono nella vita quotidiana, ci sono conoscenze che non hanno un riscontro immediato. Ma la matematica è un modo di pensare, un allenamento per le nostre capacità di ragionamento e i frutti sono applicabili in ogni ambito. La domanda giusta è: “Perché deve servire a qualcosa?”.