I saponi commerciali contengono una gran quantità di sostanze, ma quello che interessa davvero sono i tensioattivi: elementi sintetici in grado di legarsi a tre cose: l’acqua, i grassi e tutto quello che comunemente definiamo sporco, indipendentemente dal fatto che si depositi su vestiti, pavimenti, vetri o superficie corporea. Questo perché l’affinità tra grasso e acqua è per natura molto scarsa e le due sostanze non si mescolano: avete mai provato a versare una goccia d’olio in un bicchiere d’acqua? L’olio forma delle gocce che restano in superficie. Ora provate ad aggiungere un po’ di sapone e vedete cosa succede: è un esperimento carino e innocuo da fare con i bambini. In definitiva, al di là di profumi e altri tipi di sostanze, quel che veramente deve funzionare nei saponi sono appunto le sostanze tensioattive. Per espletare la loro funzione, queste sostanze devono avere una struttura lineare allungata e possedere da un lato una “coda” apolare in grado di legarsi ai grassi e dall’altro una “testa” polare in grado di interagire con l’acqua. L’esempio più tipico di tensioattivo è il sapone di Marsiglia, che le nostre nonne producevano con il grasso di maiale (che essendo un grasso possiede appunto la “coda” di cui sopra) e la cenere del caminetto, che contiene ossidi metallici che in presenza di acqua reagiscono con la “testa” acida del grasso rendendola adatta a interagire con l’acqua e, appunto, a lavare. L’alternativa evoluta alla cenere è la soda caustica, che ovviamente fa meglio il proprio mestiere ma ha un costo, e non tutti potevano permettersela. Il sapone di Marsiglia è solo il più antico dei tensioattivi, ma continua a essere utilizzato perché ha ottime caratteristiche: lava bene, funziona sulle lenzuola e sulla pelle umana, è delicato perché è poco aggressivo. Ha però il problema di perdere una parte del proprio potere lavante se l’acqua è dura, cioè in presenza di sali di calcio. Questo è uno dei motivi per cui si sono affermate altre sostanze che vengono utilizzate nella formulazione dei prodotti per l’igiene.
I nuovi tensioattivi più utilizzati sono sostanzialmente due, il lauril solfato di sodio (SLS-sodium laurethsulfate o laurilsulfate) e il lauril etere solfato di sodio. Il primo viene ottenuto da un alcool, l’1-dodecanolo; il secondo è simile ma ha due atomi in più. I due lauril hanno un’ottima resa per unità di peso, sono insensibili alla durezza dell’acqua, sono fortemente schiumogeni, possono essere inseriti nei saponi liquidi e, come possiamo immaginare, costano relativamente poco. Naturalmente, siccome ogni medaglia ha il suo rovescio, a queste caratteristiche fenomenali se ne associano altre più problematiche. Utilizzati puri, i due tensioattivi sono irritanti per la pelle e per gli occhi (SLS più del lauril etere). Nelle formulazioni dei saponi, i due tensioattivi costituiscono ovviamente solo una percentuale del contenuto totale e alle concentrazioni utilizzate i problemi sono impercettibili per la maggior parte dei consumatori. In tempi recenti si è diffuso un allarme legato alla presunta cancerogeneità dei due lauril: cosa quanto mai grave, perché praticamente non esiste sapone che non li contenga. Avrete letto, diversi mesi fa, una email che circolava e diceva di smettere di usarli. A tutt’oggi non esistono prove certe di questa pericolosità e quindi si può azzardare l’affermazione che non dovrebbero fare male. Certo è che il mercato ha annusato la tendenza e si è mosso prontamente per produrre shampoo e bagnoschiuma con altri tensioattivi, attirando quei consumatori più sensibili e disposti a pagare caro un diverso preparato chimico.
[Ugo Finardi – Chimico, ricercatore CNR]