La cicogna porterà un bambino sano? Parole, pensieri, emozioni e scelte delle coppie girano intorno a questo umanissimo desiderio, prima e durante la gravidanza. Quali sono i test che analizzano il DNA fetale?
La verità è che nulla e nessuno può assicurare la totale assenza di malattia del bambino, tuttavia scienza e medicina fanno grandi passi avanti e alle indagini prenatali attualmente in uso si affiancano oggi nuovi tipi di test, primi tra tutti i NIPT (Non Invasive Prenatal Testing), cioè test del DNA che valutano la presenza di frammenti del DNA fetale nel sangue materno.
I Nipt funzionano?
Informare non è una banalità e il linguaggio medico è spesso ostico. In Italia il 90% delle coppie cerca informazioni autonomamente, soprattutto su Internet, ricevendo notizie frammentarie, non professionali e spesso non corrette. Diverse ditte commercializzano i test prenatali NIPT, con nomi diversi e metodologie diverse: il rischio è di fare passare un semplice prelievo del sangue come la panacea contro la paura di aver concepito un figlio malato.
I test richiedono un prelievo venoso del sangue della madre, da effettuare a partire dalla decima settimana di gravidanza. Non si tratta di un esame diagnostico, ma di un test che calcola le probabilità individuali che il feto si affetto da malattie genetiche. Tra le principali: la trisomia dei cromosomi 21 (Sindrome di Down), 18 (Trisomia di Edward) e 13 (Sindrome di Patau) che rappresentano tra il 50 e il 70% di tutta la casistica o da malattie genetiche legate ai geni sessuali XY.
Come interpretare il risultato?
Una volta effettuato il test si riceve un risultato. Cosa succede a questo punto? Un risultato negativo indica “un bassa probabilità di patologia genetica fetale” e deve, di massima, essere considerato rassicurante per la donna. Bisogna però essere ben consapevoli che “bassa probabilità” non significa “certezza”.
Un risultato positivo comporta la scelta informata di proseguire nella ricerca ed effettuare i test che possono realmente fare la diagnosi della presenza di una malattia genetica. Questi test sono la villocentesi e l’amniocentesi: si tratta di esami invasivi, con un rischio di aborto che va dall’1% all’1,5% e che per essere effettuati necessitano di informazione, chiarezza ed empowerment della coppia (vale a dire: di un sentimento di consapevolezza che rende più forte il legame).
Meglio muoversi da soli o con il sistema sanitario?
I test NIPT individuano eventuali malattie con una capacità più elevata rispetto ai test di screening attualmente messi a disposizione dal Sistema Sanitario Nazionale Italiano, cioè il “Test integrato” e il “Tritest”. L’applicazione su larga scala del NIPT consentirebbe tre miglioramenti: in primo luogo si ridurrebbe il numero di test falsamente positivi. In secondo luogo diminuirebbero i test conseguenti diagnostici prenatali invasivi. In terzo luogo diminuirebbero i rischi di aborto.
Allora perché no?
Al momento il test NIPT è più costoso del Test integrato e del Tritest e il suo impiego come metodo di screening primario farebbe lievitare il costo del Programma Sanitario Nazionale. È impiegato, negli ambiti pubblici, solo come test di screening avanzato, nei casi di situazioni particolarmente a rischio.
Qualche numero? In Italia sono circa 50 mila donne che effettuano, a loro spese, un test prenatale NIPT, con costi variabili tra i 350 e i 900 euro. Scienza, etica, psicologia, cultura, costi e interessi commerciali entrano in gioco.
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