Il Carnevale finisce, mamma e papà mettono negli scatoloni vestiti e parrucche, ma le piccole pesti continuano a chiedere la gonnellina di tulle, il cappello da marinaio e il mantello da supereroe. Si, per travestirsi non esiste stagione: ce lo spiega l’educatrice psicomotricista.
Il gioco simbolico
“Sono in una stanza con un gruppo di bambini/e piccoli, di un anno e mezzo circa. Abbiamo a disposizione una palestra piena di palline colorate e degli scatoloni di una grandezza commisurata alla loro età e alla loro struttura fisica. Qualcuno comincia a mettere tante palline dentro ad una scatola aperta sul fianco, ne mette dentro tante, poi comincia religiosamente a farle uscire una ad una. Altri si avvicinano, dopo un po’ qualcuno comincia a salutare ogni pallina man mano che esce, facendo “ciao ciao”, poi riprende la raccolta, ogni pallina torna nello scatolone, per uscire nuovamente. Ora bimbi e bimbe hanno tra i 24 ed i 36 mesi: le palle sono un po’ più grandi, una bimba arriva da me portandone una in braccio, con molta attenzione. Sul materassino abbiamo delle stoffe, poggia la palla accanto a me dicendomi “il pulcino viene a casa”, prende un’altra stoffa e gliela sistema con cura. Pian piano arrivano altri “pulcini”, si svegliano, mi annunciano che vogliono partire in barca sul mare, salgono sulla grande stoffa appoggiata a terra, li trasporto trascinandoli”.
Così Daniela Pascal, educatrice professionale e da 23 anni psicomotricista relazionale per bambini, ci spiega il gioco simbolico, un modo per esprimere le esperienze, gli affetti, le emozioni, per comprenderle ed elaborarle.
Esplorare e inventarsi il proprio mondo
“Il processo di simbolizzazione è la capacità di sostituire qualcosa che è assente con immagini, pensieri, oggetti, dettagli che possono essere mentalmente rievocati. È il gioco del ‘far finta che’, dove qualsiasi oggetto può assumere un significato che va al di là della sua concretezza e della sua funzione. Una palla non è solo una palla: diventa un pulcino, un bambino, del cibo; la stoffa è una coperta ma anche una barca”. Per il gioco simbolico non è necessario un giocattolo, anzi, molto meglio un materiale o degli oggetti che non richiamano un uso predefinito, ma che assumono creativamente un significato che risponde al bisogno evolutivo di quel bambino.
“Attraverso il gioco simbolico – continua Pascal – i bambini esplorano il mondo, provano il piacere di trasformarlo, e di farlo da protagonisti, senza che l’adulto si sostituisca a loro o imponga le proprie aspettative; esprimono le loro emozioni, i conflitti, le paure e i desideri, alimentano una creatività che consiste nella capacità di trovare sempre nuovi significati al mondo che li circonda, maturando la fiducia in sé stessi, nelle loro capacità e possibilità, in un mondo che li conferma in queste capacità riconoscendo il significato e l’importanza di ciò che essi esprimono attraverso il loro gioco simbolico”.
Le età del travestimento
Il livello di articolazione e di complessità del gioco simbolico matura con l’età ed è in tale periodo, indicativamente tra i 2 e i 6 anni, che i giochi di travestimento prendono forma. C’è una evoluzione nell’uso dei travestimenti a seconda dell’età: i bimbi e le bimbe intorno all’anno di vita giocano volentieri con le stoffe colorate e di diversa consistenza, passando progressivamente dai giochi del cucù ai primi tentativi di usarle per metterle intorno alla testa o intorno alla vita come fossero gonne, o ancora per coprire simbolici cuccioli di svariato genere. Sarà soprattutto dopo i 3 anni che le stoffe verranno usate come mantelli dei super eroi o vestiti da principessa. “Travestirsi è un gioco affascinante da sempre e di sempre – commenta l’educatrice: l’imitazione è un passaggio indispensabile per potersi identificare, sperimentare il mettersi nei panni dell’altro (in senso letterale!).
Elaborare e sperimentare
Il bambino attraverso la “maschera” cerca di comprendere ed elaborare la realtà, di farla sua, e ci racconta come la vive, che rappresentazione ha delle figure che ha attorno a sé, ma anche che rappresentazione ha di sé stesso/a. Travestirsi, diventare altri, significa anche mettere in gioco parti di sé attraverso l’altro, emozioni, conflitti, aspetti che possono essere espressi e giocati in modo decolpevolizzante. Posso essere il bello, il brutto, il cattivo, il buono, il ladro, il pirata… Posso giocare proprio quegli aspetti proibiti, o considerati cattivi o inaccettabili, e quelle paure, che spesso è difficile esprimere assumendole in prima persona. Il processo di costruzione dell’identità passa anche attraverso la possibilità di poter assumere, nel gioco di finzione, diverse identità”.
Nel gioco del travestirsi, dunque, emerge l’espressione del mondo interno e di come viene vissuto il mondo esterno, come il bambino racconta sé stesso e le persone più care. “Se questo gioco emerge in un contesto sufficientemente libero (non privo di regola, ma nel senso che il gioco parte dai piccoli, dal loro desiderio, dalla loro fantasia, sono loro i protagonisti, con la loro ricerca e la loro esplorazione, senza che l’adulto pre-definisca a priori) ne nascono delle vere e proprie narrazioni, dove i bambini possono elaborare contenuti emotivi ed affettivi per loro significativi identificandosi con i vari personaggi”.
Ma il travestimento ha ancora tanti valori nella crescita del bambino: ha un’importante funzione sociale perché richiede di saper contestualizzare un ruolo, di saper cambiare di registro nel linguaggio e nel modo di porsi, oltre ad implicare, nell’atto dello svestirsi e vestirsi, aspetti legati alla motricità, all’autonomia, ed alla conoscenza e relazione con il proprio corpo.
Curarsi con il travestimento
Il travestimento può essere strumento di cura per esorcizzare paure o situazioni di conflitto? “Più che il travestimento nello specifico – ci spiega Daniela Pascal – la “funzione terapeutica” (che preferirei definire sostegno alla crescita anche in condizione di particolare fragilità) può avviarsi in un contesto dove il bambino può liberamente (cioè senza giudizio, senza eccessivi vincoli, soprattutto spontaneamente) esprimere sé stesso attraverso la dimensione del gioco simbolico. La valenza terapeutica sta nella possibilità di poter esprimere paure, conflitti o desideri, in modo decolpevolizzante, potendoli elaborare attraverso la narrazione che si crea nel gioco simbolico. I travestimenti permettono di volta in volta di mettere in gioco questi aspetti attraverso le caratteristiche dei personaggi con cui il bambino può identificarsi e/o confrontarsi”. Il gioco, scriveva il filosofo francese Michel de Montaigne, dovrebbe essere considerato l’attività più seria dell’infanzia. E anche una grande opportunità di crescita.
Il cesto delle meraviglie
Può essere utilissimo creare un cesto dei travestimenti da lasciare in un luogo di facile e libero accesso. Tutto può essere utilizzato: vecchi abiti, gonne, maglie, sciarpe, anche scarpe, cappelli o altri accessori più specifici come da cow boy, cuoco o ballerina; oppure oggetti non più funzionanti, ma simbolicamente significativi, come telecomandi o telefoni. “Ovviamente – continua la dottoressa Pascal – direi di fare attenzione e evitare oggetti con cui ci si può fare male, in relazione all’età. Meglio evitare anche quegli abiti che, più che favorire la possibilità di identificarsi con personaggi simbolicamente significativi, possono sottolineare certi stereotipi. Penso per esempio a certi abbigliamenti che possono spingere le bambine ad identificarsi con uno stereotipo della femminilità eccessivamente sessualizzato che appartiene al mondo adulto, e non certamente alla loro età”. Per il resto, tutto è lecito e avanti con la fantasia!