Nasale

da | 29 Mag, 2022 | sassolino

Ovvero, quali sono le nostre qualità distintive?

La tradizione vuole che si parta da Aristotele per rispondere a qualsiasi domanda di un certo peso intellettuale. Se, per esempio, ci interroghiamo su “qual è la qualità che ci distingue dagli animali?”, Aristotele risponderebbe: “Il logos”, cioè la nostra capacità intellettiva che si manifesta, in primo luogo, nella parola. Altri filosofi, pensatori, scienziati, sacerdoti e addetti al marketing hanno provato a rispondere qualcos’altro, dopo Aristotele. L’uomo è un animale che ride e piange, che sa contare, che fa scelte razionali, che tradisce, che crea arte e immagini, che pensa al futuro, che sa leggere, che scrive. L’uomo è un animale che ha bisogno di creare storie. E che sa farlo.

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L’arrivo di un neonato è un ritorno allo stato animale. Il parto, oggi, non è così diverso da come lo era duecentomila anni fa. Un neonato non è altro che un essere umano privo di tutte le caratteristiche che lo qualificano come umano. Non ha logos, non ride, non conta, non fa acquisti razionali. Possiamo dire che sia un animale? Quando ti ritrovi in mano un animaletto che condivide circa metà del tuo patrimonio genetico, puoi continuare a leggere i manuali sulla cura dei neonati, oppure toglierti il mantello del logos e tirare fuori il vero animale che c’è in te. Io non ho avuto il tempo per scegliere. A meno di dodici ore dalla nascita ci chiesero (o ci concessero) di cambiare il primo pannolino.

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Il cane, il gatto e il tasso, come tantissimi animali, sono capaci di distinguere gli odori, ma riescono anche a creare degli scenari olfattivi, una mappa odorosa del mondo circostante. La pecora riconosce e allatta i suoi figli tramite l’impronta olfattiva unica di ognuno di loro. Quasi tutti i mammiferi e gli insetti sono capaci di leggere il passato usando il naso. Una cinghiala non porterebbe i suoi cuccioli sui sentieri percorsi da esseri umani nelle ultime ventiquattro ore, la scia di odori che lasciano non va per niente bene.

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Prima di allora non avevo mai avuto a che fare con residui organici, né umani né animali. Perché avrebbero dovuto interessarmi? Avevo però ben presente l’automatismo sociale che mi era richiesto. Togliere il pannolino, storcere il naso, fare una battuta su quanto puzza, piegare il pannolino in quattro e seppellirlo nel cestino più lontano. Un esercizio mai praticato prima che ho eseguito come da copione. Ho aperto gli elastici del pannolino, pulito il sederino e messo il pannolino nuovo. Con mia sorpresa – e tra lo stupore dei presenti – non ho gettato immediatamente il pannolino sporco. L’ho aperto e mi sono trovato istintivamente a ficcarci il naso dentro.

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Il colore era nero intenso. Lo era anche l’odore. Un odore profondo ma spento. Il mio cervello diceva “questa è parte del mio cucciolo, questa è parte di me” e così i neuroni del palato olfattivo hanno trovato finalmente una valida motivazione per la loro esistenza. Non ho incontrato più quell’odore. Probabilmente sapeva dell’utero di sua madre. I pannolini dei mesi successivi sono diventati una mia specialità – e su questo mi prendevano in giro gli amici e le amiche. A causa del latte – l’unico alimento per sei mesi – al mio naso sapevano sempre di yogurt. In fondo si tratta dello stesso principio e dello stesso processo, latte fermentato in un intestino moderatamente caldo.

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Ho imparato che la prospettiva di stare per esporsi a odori nauseanti irrigidisce i muscoli e rende i movimenti bruschi. Un animale piccolo e altamente sensibile, come un neonato, percepisce la tensione ed è difficile che viva questo irrigidimento con serenità. Se si rimane rigidi, il cambio può diventare un brutto momento. Ringrazio quindi il mio naso, o meglio quella parte del mio cervello che processa e filtra gli odori, per non avere attribuito un valore negativo a quel che annusavo. L’intensità dell’odore yogurtese e la sua acidità – con il tempo e l’esperienza – mi rivelava indizi sulla salute del cucciolo e mi diceva tanto sul suo intestino. E per quanto non sia mai stato il momento più bello della giornata, era sempre un momento che affrontavo con serenità.

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Diversamente dal luogo comune che nega agli umani un buon olfatto, siamo capaci teoricamente di individuare fino a un trilione di odori e componenti chimici diversi. Ma in barba al logos di Aristotele, i vocabolari riportano al massimo una ventina di parole per descrivere le caratteristiche olfattive. In genere ricorriamo a metafore di colore o di gusto (agrumato, pizzicante, seducente).

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È riduttivo pensare al rapporto olfattivo tra me e il mio cucciolo come a un semplice strumento di diagnosi e ispezione igienico-sanitaria. Il patrimonio di relazione che si è creato tra noi è molto più ampio. E se il cambio del pannolino non è mai stato il momento più importante, è solo perché lo era il momento dove il mio naso cadeva vicino alla sua pelle, al collo, alla pancia. La nostra risposta a “cos’è un umano?” parla di qualità, spesso nobili, che distinguono la nostra specie dalle altre specie animali. Ma se ho imparato qualcosa, nei due anni e mezzo di pannolini, è che non si diventa pienamente umani finché non si riesce a essere pienamente animali.

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