Volevo saperne di più sulla vicenda delle scuole dell’infanzia. Capire perché la scuola delle mie figlie, la sezione di una di loro. Almeno per mettere a tacere quel senso di impotenza che si sperimenta quando sembra che, qualsiasi cosa succeda, le cose non si possano cambiare. Invece, si può. Anzi è “l’unica cosa che è sempre accaduta”
A Torino genitori e insegnanti delle scuole dell’infanzia scendono in piazza per protestare contro la chiusura di alcune sezioni delle scuole comunali. C’è bisogno di innovare, il nostro sistema formativo ne ha bisogno. Per innovare ci vuole il coraggio di stare al passo con il mondo fuori, che è duro, severo. L’educazione, a scuola, come in famiglia, è il sistema più prezioso di cui disponiamo per preparare i nostri figli a far fronte a quelle difficoltà, a sviluppare strategie, fin da piccoli, per stare bene in questo mondo.
Abbiamo bisogno che il meglio che abbiamo stia lì, con loro. Che insegni che sempre, qualcosa si può fare.
Perché chiudono le sezioni
In estrema sintesi, ci sono pochi bambini e l’Europa fa diverso da noi. Ma non è tutto qui. I dati dicono chiaramente che i servizi comunali non saranno sostenibili nei prossimi anni, almeno che non si innovi.
La razionalizzazione dell’offerta, così si chiama, riguarderà 14 scuole e 15 sezioni, individuate in base a quattro criteri (tra cui scuole con almeno 10 posto vuoti e scuole che hanno nelle vicinanze scuole comunali o statali con posti vuoti). E’ stata presentata a fine anno, ma era prevedibile, perché parte di un processo di lavoro iniziato da tempo.
Per l’anno 2020/2021, infatti, a causa di una riduzione della popolazione bambina, ci si aspetta una (ulteriore) riduzione degli iscritti alle scuole dell’infanzia. Per fare un esempio, l’offerta delle scuole dell’infanzia, nell’insieme, nel 2018/2019 era di 21.343 posti, che supera il numero dei bambini residenti a Torino nella fascia di età considerata a fine 2018, che è di 20.887. La chiusura di 3 sedi e alcune sezione, per il 2019/2020, non ha fatto registrare diminuzione dei posti in esubero ed è verosimile prevedere, nei prossimi due-tre anni, un ulteriore calo di bambini e bambine.
Ma poi, viene spiegato con estrema chiarezza dalla Divisione dei Servizi Educativi della Città di Torino, il quadro si allarga e ci riporta un po’ indietro nel tempo. In coerenza con quanto si fa in Europa infatti, il Decreto Legislativo del 2017 inizia a parlare di “istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita, sino ai 6 anni, un “sistema Infanzia” e individua i Poli 0-6 quali modelli di servizio integrato, affidando ai Comuni funzioni specifiche.
Le scuole, le sezioni, le maestre
Il mondo, l’Europa, lo Stato, i Comuni, i dirigenti.
Poi mentre la mattina cammini, manina nella manina, verso la scuola, con tutto questo sistema in testa, il pensiero va al viso della maestra, quella che, forse, dovrà lasciare. Entri a scuola e il clima è teso, le mamme si aspettano per parlare fuori, sono solidali, vogliono farsi sentire e dire che non sono d’accordo. Ci sono iniziative da mesi, manifestazioni, lettere, incontri.
Tutte le maestre sono affaticate dalla situazione, le vedi, perché fa male a tutti. Anche ai nostri figli, che in mezzo alle infinite conversazioni adulte, si sono fatti delle idee delle quali dovremmo occuparci di più.
Se la nostra scuola perde una buona maestra, penso, non è il problema. Sarà un vantaggio per la scuola in cui andrà.
Il cambiamento che innova
Non è in nostro potere- di genitori, insegnanti o decisori politici- cambiare quel dato o metterlo a tacere.
Il cambiamento, necessario, può essere una occasione, però, per fare qualche riflessione, come invitano a fare anche le stesse istituzioni.
Perché allargando lo sguardo intorno, oltre alle difficoltà fin qui viste che riguardano direttamente le scuole, ci sono informazioni interessanti, che sono strettamente collegate alle scuole dell’infanzia e alle difficoltà che stanno vivendo, e come genitori, lo sperimentiamo quotidianamente.
Se alcune sezioni devono chiudere, se alcuni insegnati vanno riassegnati, se una nuova configurazione dev’essere immaginata, possiamo partire domandandoci se:
La qualità del servizio è un obiettivo irraggiungibile?
Scegliere la qualità
I Servizi Educativi mettono in luce quanto, genitori e insegnanti stessi, dichiarino la fatica di offrire servizi di qualità. Ci sono pochi insegnanti, troppi precari, continue sostituzioni e sovraccarichi per i presenti. Aggiungo anche la complessità, a volte, di compiere semplice manutenzione. La lentezza con cui avvengono le cose.
Poi, ci sono altri fattori, che dal mio punto di vista, fanno la differenza: l‘età e la formazione degli insegnanti, la mancanza di prontezza e una visione di insieme.
L’età media degli insegnanti
Le proiezioni offerte dalla Città di Torino a riguardo sono allarmanti: il 66% degli insegnanti, nel 2021 avrà più di 56 anni ( il 20% età compresa tra i 61 e 67).
Le riflessioni a riguardo sono molte, è un tema piuttosto delicato e presente nel mondo del lavoro, in tutti gli ambiti. L’esperienza, da un lato, l’affidabilità e la serenità di chi ha maturato negli anni una profonda conoscenza, ha affinato stili e modelli, ha visto passare magari nelle due generazioni, genitori e figli, tra i suoi banchi.
Dall’altra la freschezza di chi arriva carica/o di entusiasmo, si spende e si attiva, al di là delle proprie mansioni, inventa, sperimenta, fa riferimento a nuovi modelli pedagogici, utilizza strumenti innovativi e al passo con i tempi.
Un buon livello di qualità dei servizi educativi dovrebbe mediare, tra questi due preziosissimi apporti.
Dovrebbe farlo a vantaggio di tutti, non ultimi degli insegnanti stessi. Seguire una classe di 25-26 bambini tutti i giorni e per molte ore, non è semplice a nessuna età. La prontezza fisica può essere un vantaggio, azioni come rincorrere, chinarsi per raccogliere, prendere in braccio, stare, semplicemente, con lo sguardo e il volto all’altezza dei bimbi, sono all’ordine del giorno. Allo stesso tempo, far ricorso a un bagaglio ampio di soluzioni e strategie, affinate e validate negli anni, rassicura anche l’insegnante più giovane. Per i bambini, e i loro genitori, questa sarebbe la soluzione vincente.
Scuole dell’infanzia: pronte all’innovazione?
L’evoluzione del mondo, con la tecnologia e tutto il resto, è stata molto più rapida di quella della cultura e la scuola dell’infanzia non fa eccezione.
Non possiamo pensare che con il mondo attuale, la scuola rimanga quella che è. Per stare al passo, per dare chance ai nostri figli abbiamo bisogno di un sistema flessibile, che parli una lingua compatibile con il mondo che c’è fuori.
Si parla, ormai da tempo, di introdurre, fin dalle scuole dell’infanzia, il tema della sostenibilità, per insegnare ai nostri figli ad avere cura di questo mondo, ma anche delle persone, e che da soli non si va più da nessuna parte.
Entro il 2022 poi, secondo “Iniziativa per lo sviluppo della formazione tecnologica e digitale in ambito scolastico”, dovrà essere garantita una didattica digitale fin dalla scuola d’infanzia, e ogni scuola dovrà attivare percorsi efficaci di coding. Si tratta ovviamente di percorsi ludici, che servono a definire le procedure necessarie a risolvere problemi complessi. Il pensiero computazionale dovrà far parte della didattica.
Criteri in gioco
Il problema dell’età media degli insegnanti e della loro formazione è centrale per il futuro (come mettere al passo insegnanti con la formazione? ) ma anche per questo momento specifico. Le sezioni che chiudono, infatti creano un esubero di insegnanti che andranno spostati. Come vengono individuati gli insegnati? Ovviamente ci sono dei criteri cui fare riferimento. In questo caso, a perdere il posto, salvo diverse valutazioni, sono gli insegnati più giovani, che insegnano da meno anni.
Ulteriore meccanismo che genera scuole con insegnanti di età media elevata.
Il futuro va in una direzione ormai chiara a tutti. I posti in esubero continueranno ad esserci, quello che può essere fatto, così come già si sta facendo, è riorganizzare in modo che il sistema sia sostenibile nel tempo e aggiornare alcuni criteri che ad oggi, non hanno più ragione di esistere.
Per offrire un servizio educativo di qualità, capace di stare al passo con il mondo fuori, le scuole dovrebbero assegnare nei propri criteri di scelta degli insegnanti, maggior valore ai titoli di studio, alla formazione in generale. La scuola dovrebbe facilitare tutti quegli insegnanti che stanno continuando a studiare lavorando, incentivare chi vorrebbero/potrebbe farlo.
Le mamme che lasciano il lavoro
Poi c’è un fattore, più di cornice, ma che ha a che fare anche con la qualità dei servizi educativi.
Alcuni recenti ricerche dicono che le donne che alla nascita del primo figlio lasciano il lavoro per incompatibilità tra la carriera lavorativa e lavoro di cura, sono moltissime.
Nel 2017, il 73% delle dimissioni volontarie sono proprio quelle mamme.
Il problema è molto complesso e ci sono molte variabili che influenzano tali scelte, e per ogni famiglia saranno diverse.
Molte famiglie, non è un mistero, facendo due conti, i figli li tengono a casa.
In altri casi invece, per far fronte alle esigenze lavorative e di vita familiare, scelgono la scuola privata, i cui orari giornalieri e le chiusure annuali, consentono ai genitori maggior flessibilità.
Quindi i bambini sono di meno, ma qualcosa potrebbe essere fatto per far rientrare la scuola dell’infanzia pubblica tra le reali opzioni di scelta di quelle mamme che scelgono di continuare a lavorare e non hanno aiuti esterni?
Scuole, cambiare non è più una opzione
Cambiare un sistema non è semplice, ma è possibile.
Qui però si parla di 14 scuole. Le motivazioni, le storie, possono ancora avere una chance di vincere di fronte a un criterio. Perché il processo non si fermi all’analisi dei soli numeri. Chissà.
La scuola delle mie figlie era una di quelle per cui le mamme dicevano “speriamo che me li prendano”. Forza. Vogliamo Open Day in cui si racconta un servizio educativo innovato e innovativo, che guarda al futuro e sta al passo. Vogliamo insegnanti sereni, preparati e appassionati, che insegnino ai nostri figli, perché lo credono, che sempre, qualcosa si può fare.
Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta.
Margaret Mead
La foto è di Alina-Elena Turculet, mamma.