Tra i vestiti per bambini c’è una nuova, nuovissima tendenza. Un modo di vestire “agender” che elimina lo stereotipo maschietto-femminuccia
Difficile capire se è una tendenza, un business o un passo avanti, sta di fatto che la moda sta vivendo un cambio di prospettiva. Dal cappotto di pelliccia siamo passati all’animal free, con abiti e accessori senza prodotti animali. Dai fuseaux di poliestere rosa shocking stiamo andando verso l’eco-green, con capi indossabili e tessuti attenti all’ambiente e alle condizioni di lavoro dei produttori, tinture naturali, riduzione degli scarti e un occhio al riciclo e al riutilizzo.
Nuova, nuovissima è la tendenza “Agender”, l’abolizione degli stereotipi sessisti nei vestiti di adulti e bambini. Con tante declinazioni: no gender, genderless, gender free, gender neutral o genderfluid. Un modo di vestire che riscatta, nella moda, un nuovo modo di pensare.
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Cosa significa agender e gender free?
La moda “no gender” va un po’ oltre il concetto di unisex, che nel ricordo dei lontani anni ’60 si ispirava all’outfit neutro della classe operaia per proiettarsi sulle passerelle di moda con un abbigliamento condivisibile tra lui e lei.
La moda agender non toglie il genere, ma afferma la sua assenza, con l’idea che l’abito non debba utilizzare le categorie maschile-femminile come principio di scelta (e quindi di discriminazione). Abbattuti gli stereotipi, rimane solo la libertà di vestirsi in base al gusto.
Ma cosa si trova in un armadio gender free? Abiti sobri, colori neutri, linee semplici e tagli minimali. Forme poco sagomate e con poche cuciture. Pantaloni diritti e ampi sul cavallo, che cadono comodi a lei e più aderenti a lui. Casacche, maglie con cappucci, canotte e molto altro ancora.
Poca personalità? No. Si è talmente minimal da acquisire un’eleganza totalmente particolare. Con un plus, bambine e bambini che adottano lo stile agender sono liberi di muoversi, correre e saltare, senza rischi di mostrare le mutande a causa della gonnellina troppo corta.
Da Selfridges a Zara, passando per H&M
Aveva provocato non poco scalpore l’iniziativa della catena britannica di grandi magazzini Selfridges, che nel 2015 ha lanciato la campagna Agender, destinando (purtroppo per soli due mesi) due piani dello store di Londra a collezioni per lui e lei.
Il progetto voleva creare “un’esperienza di shopping senza distinzione di genere, attraverso la moda, gli accessori e la bellezza”. Molto semplicemente i clienti erano invitati a scegliere i capi basandosi sulle preferenze di colore, forma e stile.
Da lì a poco, anche altre marche hanno seguito l’esempio. Nel 2016 Zara ha lanciato la collezione Ungendered, con abbigliamento di genere neutro per ragazzi e ragazze. L’anno successivo H&M ha fatto uscire Denim United, indumenti casual pensati per tutti e realizzati in materiale organico e riciclato.
E se il “fast fashion” non vi soddisfa, è arrivata anche l’alta moda. Le ultime stagioni di Gucci, attraverso lo stilista Alessandro Michele, hanno lanciato con forza l’idea di una moda gender free. Con il seguito di altri marchi di lusso: Eckhaus Latta, Vaquera, Art School London e Telfar.
La nuova moda fatta di silhouette senza genere ha fatto anche nascere nuove firme. No Sesso, Official Rebrand e Rebirth Garment promuovono l’accessibilità e l’intersezione. Poi ci sono i rivenditori emergenti, più radicali ed estremi, come Radimo e The Phluid Project, che considerano il mercato dell’abbigliamento come un mezzo per mettere in discussione le norme di genere. Alla fine, il personale è politico e si prende posizione anche coi vestiti.
Chi acquista gender free
Ad acquistare i vestiti senza genere sono prevalentemente i teenager. Ragazze e ragazzi si sentono stretti nei confini delle distinzioni di genere, perlomeno secondo una ricerca condotta da Innovation Group.
La Generation Z (i nati tra il 1995 e 2010) punta il dito contro gli stereotipi legati alla sessualità. Oltre un terzo degli intervistati ha affermato che il genere non basta a definire una persona e solo il 44% ha dichiarato di aver sempre comprato vestiti pensati per il proprio genere.
Visto che la moda è soprattutto business, è innegabile che lanciare collezioni gender fluid significhi sollecitare una riflessione importante sugli stereotipi, ma anche raggiungere una clientela più numerosa e decisa.
Inoltre “la moda gender free è conveniente per i marchi di abbigliamento – ha dichiarato Bernadette Kissane, apparel and footwear analyst -. Consente una maggiore libertà nell’espressione personale, sia per i consumatori che per i designer. Oggi sono tantissimi i designer, ciò significa che i marchi devono trovare il modo di distinguersi e farsi vedere”. E questo può essere un modo.
Bambine e bambini, un’unica comodità
È difficilissimo per i genitori uscire dal binomio rosa-azzurro. Nei centri commerciali è tutto uno schierarsi di pink contro scaffali di cinquanta sfumature di blu per maschietti. Principesse contro pirati. Ballerine contro astronauti. Qualche novità comunque c’è.
Nel 2017 John Lewis, proprietario dell’omonima catena di grandi magazzini con oltre quaranta punti vendita in Gran Bretagna, ha aderito alle attività del gruppo “Let Clothes Be Clothes” (lasciate che i vestiti siano vestiti) e ha deciso di bandire le etichette di genere. I suoi vestiti ora si distinguono in “Boys&Girls” e “Girls&Boys”.
Una provocazione arriva anche da Free to be kids un marchio che propone abbigliamento neutrale per la primissima infanzia, con tutine dai colori non stereotipati, magliette e vestitini dalle linee graziose e con messaggi legati alla parità di genere.
Grandissimo successo (all’estero) ha avuto la boutique online Sewing Circus, una delle linee di vestiti per l’infanzia antistereotipi, nata da una mamma esasperata dalla rigidità del mercato. Oggi produce magliette, cappellini, pantaloni e gonne per bimbi e adulti con fantasie graziosissime e atipiche.
Più o meno simili sono Budding Stem, una linea di magliette e leggings dedicate agli astronauti (con rane e api) e le “principesse non in rosa” di Princess Awesome con canotte a base di draghi, dinosauri e squali, colori sgargianti e persino qualche capo grigio e nero.
Ci sono infine Climbing Trees per le bimbe che amano robot, dinosauri e pirati e Handsome in pink per i maschietti che amano il rosa o il viola (con i disegni di attrezzi o pompieri) e le pinzette per i capelli (con i coccodrilli).
Freschissima la collezione genderless lanciata da Céline Dion per NUNUNU, per cui ha creato oltre 70 pezzi per bambini 0-14 anni. “Voglio incoraggiare il dialogo, l’uguaglianza e altre possibilità – ha commentato la cantante canadese. Il nostro compito è di spingerli verso il futuro, ma il loro percorso dovranno sceglierlo da soli”. L’idea è nata dopo una visita al reparto maternità di un ospedale, in cui tutto pareva rigorosamente diviso in azzurro e rosa.
Scelte non conformi, che hanno un vantaggio in più: non importa di che genere è il secondo figlio, il cugino o l’amichetto: i vestiti si possono riutilizzare nel tempo. Insomma, non c’è che da sbizzarrirsi. E in totale libertà.